V Video

R Recensione

7,5/10

Laurel Halo

Raw Silk Uncut Wood

Definire Laurel Halo una compositrice minimalista d'avanguardia sarebbe, più che fuorviante, completamente sbagliato. Le sue composizioni e il suo lavoro artistico sono sempre andati in una direzione differente e che, peraltro, si è rivelata molto produttiva: non penso di dire una eresia se annovero la musicista e compositrice americana tra le figure di spicco di una certa elettronica pop sensibile che raccoglie in qualche maniera le esperienze della Morr Music, rielaborandole in una dimensione più compiuta (del resto Laurel risiede a Berlino, che poi è comunque sotto tutti gli aspetti la capitale culturale del nostro continente, capace di esprimere dei contenuti artistici più variegati rispetto alla monotonia - sotto tutti gli aspetti - londinese, caratterizzata da un'attitudine al livellamento invece che all'arricchimento e alla varietà) e che le hanno portato le giuste attenzioni e il giusto tributo da parte degli appassionati e della critica.

Assurta a una certa popolarità, dopo avere infilato uno dietro l'altro tre LP di grande successo su Hyperdub (in particolare l'ultimo “Dust” è stato variamente molto celebrato dalla critica), Laurel fa il suo debutto su Latency con “Raw Silk Uncut Wood”, un dischetto che definirei semplicemente sorprendente. La ragazza spiazza letteralmente ogni ascoltatore con la realizzazione di questo mini-album che è praticamente un episodio, seppur breve, di musica neoclassica d'avanguardia: un album di musica ambient minimalista sperimentale e completamente strumentale, strutturato fondamentalmente su due lunghe tracce, la prima “Raw Silk Uncut Wood” e l'ultima “Nahbarkeit”, due lunghe sessioni di musica ambient: la prima si distigue più per un carattere sincopato della composizione, mentre la seconda propone un uso più estensivo dei synth in una direzione che potrebbe rimandare agli episodi più glaciali della produzione di Jarre. Ma devo ammettere che, data la recente ristampa della doppietta Sylvian-Czukay, qualche rimando pure in quella direzione non manca, facendo le dovute proporzioni tra la grandezza monumentale dei due musicisti nominati e la pur bravissima Laurel.

Nel mezzo momenti di sperimentazione minimale come “Mercury”, praticamente la ripetizione di poche note nel vuoto colmato solo dal suono delle percussioni di Eli Keszler (uno dei due collaboratori nell'album, assieme al violoncellista Oliver Coates); le dissonanze di “Quietude”; la dimensione pop-art quasi Residents di “The Sick Mind”; le inquietudini di “Supine”. Momenti compositivi di portata minore, sia sul piano della durata che delle ambizioni, ma non per questo meno rilevanti in un disco che praticamente non ha punti deboli e la cui ristretta durata non costituisce un limite: tutti i tempi sono adeguati e le prospettive verso il futuro sono adesso spalancate verso nuovi orizzonti, difficili da immaginare, ma sicuramente radiosi.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.