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R Recensione

7/10

Niton

Tiresias

Zeno Gabaglio, filosofo violoncellista specializzato in improvvisazioni; Luca Martegani, aka Xelius, progettista acusmatico nonché tecnico del suono; El Toxyque, esperto in droni, psichedelie e coup de théâtre. Questi tre amabili sperimentatori rispondono al nome Niton, un progetto di confine, tra l’Italia mitteleuropea e la Svizzera mediterranea, teso a sondare le potenzialità del suono, ad estenderne i limiti in sfumature sempre più elusive e fumose: a voler essere noiosi, nei pit di “Tiresias” c’è fondamentalmente un disco ambient, con sparuti scivoloni IDM.

Se invece vogliamo dare una connotazione diversa a questa pubblicazione Pulver & Asche, dobbiamo ammettere che siamo di fronte a un lavoro complesso, in cui le competenze dei tre musicisti si fondono fino ad annullarsi in una sorta di non suono. Una scorsa rapida all’elenco della strumentazione rende subito l’idea: marranzano elettrico, ventole, oscillatori, banjo preparato, theremin, sintetizzatori mono, modulari e analogici, violoncello elettrico, distorsori, Memorymoog e tanto altro. Musica vaga, fatta di minuscoli frame che ingrassano e si ingrossano nel Korg SQ-10: a questo impasto di droni si appiccicano elementi di pura avanguardia, dai cerebrali serialismi stockhauseniani (“Bewno” e “Unsacred ground”) alle bordate electro-prog di jarriana memoria (“Upload” e “Päto”), fino alle esplorazioni aleatorie in perfetto stile cageano (“cetk irtt” e “osc 18”) o le estensioni dinamiche di certo neoclassicismo (“Had is the weakest point”) e di certo minimalismo techno (“Moto ignoto”).

La mitologica figura di Tiresia, l’impertinente indovino che discettava di sesso e di orgasmi, sta un po’ ad allegoria del disco, poiché ogni membro dei Niton ha praticamente scandagliato i propri tormenti interiori per riversarli, svestiti e svelati, in questo progetto a sei mani, producendo una musica che è l’opposto di se stessa, oblungo continuum dall’antipodo strumentale a quello elettronico.

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