Stars Of The Lid
And Their Refinement of the Decline
6 anni di lavoro. Tanto hanno impegato Brian McBride e Adam Wiltzie per portare a compimento questa settima fatica sotto la sigla Stars Of The Lid. E il risultato di questo travaglio sta tutto qui, nelle due ore abbondanti di And Their Refinement of the Decline , cattedrale sonora imponente e monumentale percorsa da spettri dolcemente funerei, leggiadramente sacrali.
Ambient e minimalismo, Glass e La Monte Young, Eno e Reich sembrano guidare con mano invisibile i due mentre attraversano le stanze del disco carichi di strumenti sintetici e, soprattutto, analogici (archi, piano, arpa, tromba, avvolti) nelle spire concentriche di droni diafani e luminosi,galleggiando in un brodo primordiale che è contemporaneamente origine e fine di tutto.
Pare di essere ai titoli di coda di un film in cui gli spettatori, invece di scappare via subito si fermano, intenti ad assaporare il senso di compiutezza, di conclusione o a un concerto in cui l’orchestra decide di godersi all’infinita tensione per l’attesa dell’inizio del concerto. Tutto è già stato compiuto, tutto si deve ancora compiere.
È un minimalismo che tende sempre di più alla classica: c’è la calma stregata di Max Richter, ma senza i suoi saliscendi emozionali, c’è il neo-classicismo amabile degli Eluvium, ma vittima di un tenace spirito di incompiutezza, c’è il suono isolazionista e astratto della Kranky, che si fa materiale da conservatorio e viene portato a sublimazione.
Difficile e inutile isolare frammenti, brani, tracce: sarebbe come tentare di arginare un fiume placidamente ma inesorabilmente in piena. Sono diciotto tele, ma è un unico quadro quello che si forma davanti ai nostri occhi: è l’affresco sonoro di uno scenario disintegrato e fluttuante, magicamente sospeso e statico, stregato da un senso mistico e allo stesso tempo iperterreno di quiete, che si realizza attraverso il suo stesso “essere”, teleologicamente finalizzato al “qui” ed “ora”, estaticamente in attesa di un qualcosa che non si compirà mai.
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