Tosca
No Hassle
Sembra incredibile, ma di Kruder & Dorfmeister non si parla praticamente più. O meglio se ne parla esattamente come di un qualsiasi altro dj o produttore. Meglio così. C’è stato un periodo nel quale se non andavi a Vienna tutti i sabato sera a sculettare sui raffinatissimi ritmi delle “K & D Sessions” eri un povero sfigato.
Passata la sbornia (ma poi, chi si sbronza ballando chill-out?), Richard Dorfmeister ritrova il vecchio amico Rupert Huber con il quale firma il quinto capitolo a nome Tosca. Riascoltiamo con piacere quelle eleganti trame ambient che resero celebri dischi come “Dehli 9” (2003) e soprattutto “Suzuki” (2000), ci crogioliamo nel caldo soft-dub creato da Dorfmeister (“Elitsa”) come nelle derive pianistiche intessute da Huber (“Raymundo”), chiudiamo gli occhi tra le nebbie narcotizzate di “Joe si ha” e ci risvegliamo intorpiditi sui ritmi in quattro di “Oysters in May”.
L’armonia complessiva, la cesellatura precisa e levigata degli arrangiamenti e la ricercatezza delle partiture ritmiche costituiscono l’immutato tratto distintivo del duo. Tutto come al solito, insomma. O quasi. La novità risiede nel nuovo approccio sonoro dei Tosca, definitivamente orientato verso una costante ricerca di melodie analogiche che riducono la componente ritmico-digitale a puro elemento di sostegno. Valgano in questo senso alcuni episodi “cantati” (“Birthday”, “My First”), le chitarre acustiche di “Fondue”, gli arpeggi meditativi di “Mrs Bongo” e le percussioni etniche della conclusiva “No Hassle”.
Un timido segnale di innovazione, importante per chi apprezza un genere (e soprattutto una band) non proprio aduso a cambiamenti e sperimentazioni. Bene per loro, e buona serata a Vienna. Purtroppo questo non impedirà a “No Hassle” (a proposito, “Nessuna fretta”, e si era capito) di iniziare a prendere polvere in un angolo della stanza tra una settimana o poco più. E probabilmente per sempre.
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