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R Recensione

6/10

Gianni Banni

Danza globulare

Danza del ventre? Danza della pioggia? No. Quella di Enrico Iannaccone, in arte Gianni Banni, è una danza dei globuli, dei grani, delle polveri sottili. Degradando il suono fino a farlo sembrare frutto di operazioni a 8 bit, questo artista napoletano – autore tra l’altro di belli e fortunati cortometraggi – ha inscenato un flash mob di Playmobil, coi pupazzetti che si incontrano in stazione centrale per dar vita ad una coreografia disumana e disumanizzante, metafora forse dei tempi che corrono. La peculiarità di “Danza globulare” – autoprodotto dallo stesso Iannaccone al pari del successivo “Tartufo EP” (novembre 2014) – sta proprio nella sua bassa fedeltà, in questo disagio latente, fastidio uditivo che solo certo noise benfatto (?) sa apportare.

Gli otto pezzi che costituiscono il primo LP di Gianni Banni sono tutte pagliacciate in grande stile: suoni granulosi, macchinette sbuffanti, fondamentalismi elettronici, cose rotte.e infatti troviamo bambini che litigano coi soldatini, indiani e cowboy, in “Mio non tuo non mio”; assimilazioni micromusic in “Picchi”; mostruosità noise electro slowcore in “Boris Karloff e le donne”; scordature di rudimentali editor che nemmeno Music Maker o Mixman Studio in “Tanti galli a cantare”; ambientazioni spettrali e cosmogoniche in “Quanto durate”; finto rock mezzo pop quasi elettronico, insomma modernariato post-daftpunkiano, in “Boxe”; assurdità protoindustriali ne “L’ultima danza del dittatore”; infine “Cantiere”, esperimento in campo aperto con successivo nonché squisito finale di coda al pianoforte elettrico.

Detto ciò, bisognerebbe ora recensire il disco, o almeno cercare di fornirne una visione d’insieme, un’interpretazione critica, una chiave di lettura almeno – semplicistica o intellettualistica che sia. E invece, arrivati al termine dei 42 minuti di “Danza globulare”, si resta interdetti. Non è possibile recensire il disco, né tantomeno procurare allo sprovveduto e sfrontato ascoltatore uno straccio di combinazione interpretativa che non sia la mera apparenza: il divertito esperimento di Enrico Iannaccone, o meglio Gianni Banni, teso ad abbagliare, fuorviare, irretire, imbrogliare, deridere, schernire. Se non lo avete capito, vi sto dicendo che questo disco è una grossa fesseria, un’adorabile e seducente coglionatura.

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