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R Recensione

6/10

Isolée

Well Spent Youth

Se le produzioni house non cennano ad estinguersi ancora nel 2011, quando il genere va avvicinandosi ai 30 anni di età, una ragione ci sarà. Punti di forza solidi, che non consistono solamente nella spiccata attitudine ad essere regina delle discoteche, perché rimane comunque forte il suo versante da ascolto. Il segreto sta probabilmente nella sua natura poco vincolata a regole fisse, nella sua flessibilità, che consente interpretazioni di varia natura: tra chi accelera i tempi e si avvicina alla cugina di primo grado, la techno, chi abbassa i volumi e corteggia l'ambient, chi ne riscopre una particolare compatibilità al dance-pop, chi affonda di electro o chi simpatizza per la tribal, gli spunti non sono mai mancati. E i bei dischi nemmeno.

Isolée, all'anagrafe Rajko Müller, è sempre stato (battuta?) "di casa" in queste sonorità, passando in scioltezza da un fronte all'altro. A cominciare da quel Rest del 2000, che volentieri cavalcava le recenti intuizioni microhouse, e lasciando il segno con We Are Monster (2005), più "classico" ma molto apprezzato da critica e pubblico. Arriva quest'anno al quarto disco in studio, e segna un altro cambio di rotta: Well Spent Youth, con la sua predilezione per le frequenze basse e la tipica attenzione a non strafare, naviga soprattutto in acque deep. Una ricetta consolidata, riproposta con rigore (Taktell, One Box), aggiungendo interessanti grooves qua e là (Thirteen Times An Hour), correggendo saltuariamente il ph (Hold On) e ottenendo alcune combinazioni di una certa efficacia (Celeste e Paloma Triste su tutte).

Però manca qualcosa. Non all'artista Isolée, e nemmeno al suo disco, che possiede sicuramente buoni momenti e ben interpreta lo spirito che ha scelto. Manca qualcosa a questa specifica house, per spiccare sulle realtà che la affiancano e non dar l'impressione di un monotono calderone fatto di esemplari molto simili tra loro. Mancano indizi di modernità che la distinguano dalle uscite storiche del genere. Mancano forse iniziative personali coraggiose, che alterino lo schema con nuove ibridazioni. Non è un caso che negli ultimi tempi le maggiori attenzioni si concentrino su proposte "alternative", come la vivacità catchy dei Booka Shade, la maestria soul di Robert Owens, o la tech-house danzereccia, che quest'anno sta aspettando al varco i Gus Gus dopo il bidone rifilatoci dai Simian Mobile Disco nel 2010. Manca freschezza e brillantezza, e rimane solo una rigida fedeltà ai canoni tradizionali.

Non da buttare via, sia chiaro. Ma difficile non percepirlo come "uno dei tanti". Se proprio non sapete cosa pescare dalla pentola...

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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Teo 6/10

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