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R Recensione

7/10

Pulshar

Inside

Ma siamo sicuri che Loco Dice sappia che cosa succede all’interno della sua etichetta? No, perché altrimenti non si spiegherebbe come mai si ostini a proporre dei set a base di loop tamarri senza senso, quando nella sua stessa casa discografica vengono realizzate ottime produzioni con nomi del calibro di Moritz von Oswald o Marco Passarani. Inoltre ci sono newcomers come i Pulshar che danno alla luce un album elegante a metà strada tra la deep e le mille varianti della dub techno.

L’apertura è affidata all’etero pianforte di Intro. The price you pay introduce i primi beats e paga l’inevitabile tributo al progetto Rhythm & Sound della Basic Channel; ritmica half step e cantato reggae riportano i ricordi a quel cielo grigio di Francoforte che non sai mai se si sta per aprire o buttar giù acqua. Deep House sabbiosa dalle tinte smooth per Montparnasse 2am, una passeggiata notturna per i boulevard parigini senza per forza dover raggiungere un club durante la quale bastano le luci della città e la musica in cuffia per godere. Il viaggio continua con la melodia crepuscolare di Da Creator (omaggio a Juan Atkins?) e la sua incalzante Tr 808 per una dimensione più spirituale del dancefloor come da tradizione Detroit.

California State of Mind è una ballata sognante al vocoder e battito R’n'B in stile west coast.

La metà esatta di Inside è occupata da Stars: speed garage di stampo londinese al confine con il primo dubstep. Di fatto se producers capiscuola dubstep come El-B guardavano alla dub tech tedesca per il loro suono, ora il cerchio si chiude con la Germania determinante nell’ampliare atmosfere altrimenti destinate a non superare South London. Archi e breaks direttamente dagli scantinati della Motor City per United States of Pulshar. Empty Suitcase, invece, è puro dubstep old school a la Mala: kick cadenzato, riverberi e reggae roots.

Down by the river coccola le nostre sinapsi avvicinando l’house cantata neyorkese all’Uk garage (ormai post). Sempre sull’onda di questi ricamati esercizi di stile ci imbattiamo in Distant fire. Anche in questo caso possiamo parlare di post garage ma la traccia ha le potenzialità giuste per strizzare l’occhio al Pop più sofisticato. L’intermezzo Above the wall ci porta a Stepping stones, ultima canzone dell’album in chiave reggae.

Release davvero particolare per la Desolat che, come dicevamo all’inizio, ben si distingue dalla banalità del suo leader e sicuramente riscuoterà parecchi consensi da parte di tutti gli appassionati.

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 11:23 del 21 ottobre 2010 ha scritto:

"da creator" mi ha davvero rapito. vedrò di recuperare l'album: ottima segnalazione!

crisas (ha votato 8 questo disco) alle 1:02 del 22 ottobre 2010 ha scritto:

Non conoscevo questo gruppo, ottimo Dub, ho ascoltato i due album e devo dire che la qualità è alta.

Da Creator rapisce, come Streets Calling Me del precedente album, bellissima !