Cinematic Orchestra
Ma Fleur
Attendevamo impazienti il nuovo lavoro dei Cinematic Orchestra; dopo l’uscita di quel “A Man With A Movie Camera”, impostato come se dovesse divenire la colonna sonora del famoso film di Dziga Vertov, il jazz da camera e il post-rock non erano mai stati così soavi e perfettamente miscelati.
E ora, finalmente, “Ma Fleur”.
Ma la delusione è più grande dell’attesa.
Un unico capolavoro domina questo disco: “To Build A Home”. Il pezzo pop che attendevamo da qualche tempo, un ritorno all’approccio più veritiero del termine, l’essenza popular fatta di nuovo materia pura, l’uomo e lo strumento, la voce e il pianoforte, come in un lieder schubertiano s’innalzano e volano via sorretti da un vuoto avvolgente che s’interpone solo quando uno dei due tace. Dimensione puramente acustica, se ne sentiva davvero il bisogno nell’era degli elettro-shifting, degli elettro-pop, degli elettro-tutto. Abituati oramai allo strabordante barocchismo (non per questo da denigrare) del patrickwolfismo dilagante, era proprio quello di cui avevamo bisogno.
Peccato per il resto.
Non che l’attitudine acid jazz di “Child Song” o la voce soul hop di Fontella Bass nella rilassante atmosfera di “Familiar Ground” suonino male, per carità, è solo che sembra aver sentito tutto già centinaia di volte e l’album dà la sensazione di prendere le sembianze di un grande deja-vu sonoro.
Insomma il disco si fa ascoltare piacevolmente, ma il fatto è che ripensare ai Cinematic Orchestra quasi avant hop di “Motion”, grande tributo alle colonne sonore cinematografiche degli anni ’50 e punto di svolta del trip hop tutto, fa venire in mente che questa loro piccola deviazione sia solo una mossa per accaparrarsi una più grande fetta di pubblico.
Come si suol dire, chi vivrà vedrà.
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