R Recensione

6/10

Milosh

III

Nell'anno in cui i Portishead tornano finalmente sulle nebbiose trincee dub a ricordarci che lo spirito originario del cosidetto “trip hop” era una questione di sovrapposizioni frastornate e movimenti disturbati e non la glassa vellutata dal bpm in cannabinosi spacciata da gente come Hooverphonic e Morcheeba, fa quasi effetto trovarsi tra le mani un perfetto esemplare di downtempo “da salotto” come questo III di Milosh.

E ciò detto senza ironia o disprezzo di alcun tipo: semplicemente, accostare i due lavori ci fornisce una brillante prova di quanto sia ampio il ventaglio di suoni tenuto insieme dalla vaga e blanda definizione di battuta bassa. Emblematico poi che il nostro trovi questa volta casa proprio presso la benemerita K7. “Quella” dei K&D sessions, per capirci, etichetta simbolo di sonorità, divenute ormai patrimonio indiscusso di ascolti casalinghi in cuffia come di DJ set post-aperitivo per localini cùl.

Chi ha avuto il piacere di ascoltare i primi due lavori del cantautore indietronico di Toronto sa già cosa aspettarsi: un falsetto morbido e cristallino, che lambisce e schiarisce derive soul e le unisce a fragranze pop che ricordano gli episodi più soavi della produzione degli Air o degli Zero 7, seppure in una chiave più melanconica e graciel. Per evitare che gli altri si facciano fuorviare, comunque, è bene chiarire che Milosh sta a Jamie Lidell come Sade sta ad Otis Redding.

Pezzi finemente cesellati e levigati da arrangiamenti scarni ma sinuosi, che incorporano minuscoli granelli di glitch dorato e si adagiano mollemente su loop di batteria meccanici e confortevoli. Forse troppo. Perchè, a dirla tutta, una differenza col precedente (e bellissimo) Meme, c'è.

Su III ritroviamo Milosh, la sua voce e tutto il corredo sonoro che ce l'ha fatto amare, ma non le canzoni. L'abbraccio sonoro che ci accoglie fin dalle prime note diviene sempre più tedioso man mano che si susseguono i pezzi, e gli ascolti.

La verità, a dirla tutta, è che si fa fatica a distinguere una traccia dall'altra: troppo simili i percorsi melodici su cui si incammina la voce del nostro, troppo rari gli scarti ritmici e stilistici in grado di ridestare l'attenzione di chi ascolta.

L'indietronica di Awful Game è gemella dell'aerea Another Day, e Gentle Samui è una downtempo dalle voglie urban che si spoglia di qualche orpello ma aggiunge poca sostanza. Il glitch dolciastro di Warm Waters non è poi molto distante, se non per questioni di minutaggio dalla conclusiva The World.

E allora ci si trova a preferire, forse ingiustamente, più in onore della loro parziale distanza che per reali meriti musicali, il crescendo controllato della pensosa Remember The Good Things. Il synth pop sognante di Hold My Breath. O ancora la debole accellerazione di bpm della filastrocca indietronica triste Leaving Samui.

Milosh non è uno che merita di venir inserito nel calderone delle sonorità da tappezzeria e crediamo davvero che meriti qualcosa di più che accompagnare la degustazione di salatini e negroni. Milosh è uno “da cuffia” e l'unica degustazione che si merita è quella sonora. Speriamo soltanto che la prossima volta, all'aperitivo musicale, non dimentichi più di portare anche le canzoni.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.