R Recensione

5/10

Squarepusher

Just A Souvenir

Fa un certo effetto passare in rassegna i nove album di Tom Jenkinson (aka Squarepusher, il Frank Zappa del drum’n’bass) e notarne i tratti comuni, le assonanze emotive e/o stilistiche: quei parossismi ritmici che, in pieno fulgore jungle, costituirono l’ossatura sbilenca della variante drill’n’bass, le fin troppo ovvie fascinazioni jazz-fusion, le tensioni acid-house, una concezione quasi “progressive” della materia sonora. Certo, la freschezza del disegno è venuta meno all’incirca un decennio fa, ai tempi cioè di “Music Is Rotted One Note”: da allora, a parte il breve affondo di “Ultravisitor” (2004, quasi totalmente devoto ai Weather Report), e un’intensa attività live che lo ha sempre più allontanato dalla sua natura di musicista elettronico (ricordiamoci che Jenkinson è anche bassista, chitarrista e batterista jazz di ottima tecnica), l’artista ha preferito sonnecchiare, per non dire ronfare sonoramente, sugli allori.

In una pietra miliare al pari di “Hard Normal Daddy”, insomma, non ci spera più nessuno, e in questo senso “Just A Souvenir” conferma la tendenza al ribasso; il titolo è però ingannevole, giacchè nemmeno di souvenir d’epoca può parlarsi, bensì di un lavoro interlocutorio, curioso, difficile da mettere a fuoco. In buona sostanza, ci troviamo dinnanzi a un jazz-rock schizoide, spesso melodioso ma dalle insolite venature “math”, in alcuni casi (oso? Massì, via…) adocchiante certo grind-metal all’acqua di rose (ad esempio in “Tensor In Green” dove i Goblin vengono passati al torchio da dei Naked City armati di fruste e latex, o nelle volute quasi black sinfoniche di “Tensor In Green”); un caleidoscopio hard-fusion in cui l’elettronica è ormai mero contorno, relegata a qualche tentativo abortito di glitch “acustico” (“Open Society”, “Aqueduct”, “Fluxgate”), un giro o due di synth e un vocoder tanto per richiamare quell’italo-disco (l’ottima “The Coathanger”, peraltro su ritmica dubstep) che sta attraversando un’inattesa seconda giovinezza nelle mani di produttori d’oltreoceano – non in Italia, ovviamente: noi abbiamo avuto in dono dal cielo la Pausini, e se proprio vogliamo fare “gli alternativi” ci stanno Le Luci Della Centrale Elettrica, a che ci serve l’italo-disco?

Le cose migliori arrivano però quando Jenkinson resta nei perimetri a lui più consoni: l’iniziale “Star Time”, probabilmente il capolavoro del disco, in cui si fondono richiami easy listening, organo lounge, tastiere arcobaleno, accenni di ritmiche nu-new wave (non si scappa, gente…) e una vena melodica in grande spolvero; i sette minuti di “The Glass Road”, che incantano con tristissimi carillon, vorticosi saliscendi chitarristici e un mini-drone finale bello “dark” come piace a noi (o forse solo a me), per non parlare – e invece ne parliamo – di quella “A Real Woman” che flirta ancora con sussulti italo ma, nella sua più marcata elettricità, fa pensare ai Buggles con qualche anfetamina di troppo in circolo.

Pattume invece i momenti troppo fastidiosamente “rock” (“Delta-V”, “Planet Gear”) e la parte finale del disco (da “Duotone Moonbeam” in poi), talmente al di sotto dei suoi standard da dar quasi ragione a chi indica nell’invasata qualità cinetica l’unico elemento che impedisce alle sue composizioni di naufragare nella noia. E in effetti, abbassando i bpm e rinunciando al “mixing” con cui spezzettare il flusso continuo del “real playing”, esasperarne le sincopi o sciogliere il fraseggio in dissolvenze improvvise, Jenkinson è perduto; come se quelle ritmiche sparate alla velocità della luce costituissero l’appiglio sicuro per continuare a esistere nella musica, freneticamente immobile ma con la convinzione di rimodellare il proprio organismo in moto perpetuo.

Ad ogni modo, a parte quei 3-4 gioiellini il disco non ingrana. E poco importa che i retroscena parlino d’un lavoro nato da un sogno vagamente psichedelico in cui il signor Squarepusher guidava una rock band in concerto mentre “surfava” in un torrente in piena: trattasi di mera nota di colore; quel colore che, anche nella copertina, dà sfoggio di sé pavone, ma che poi nella musica si ritira villanamente. Un consiglio: spendete in modo migliore la vostra paghetta natalizia.

V Voti

Voto degli utenti: 5,3/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Cas 5/10
tttt 6/10

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.