Aucan
Stelle Fisse
Ciò che mi attirava negli Aucan dellomonimo esordio e, in percentuali ancora maggiori, in quelli ibridi dellacclamatissimo seguito Black Rainbow era, sostanzialmente, lintelligenza di gruppo: sapere come, dove e quanto lasciar correre fantasia ed inventiva, allinterno di paletti di genere alquanto rigorosi ed allergici alliniziativa del singolo. Le pecche di una scrittura didascalica, eutrofizzatasi poi in pochissimo tempo sino, forse, a macchiarsi delleccesso contrario (uneterogeneità a puzzle non sempre centrata di cui, a posteriori, si può incolpare il second act), venivano superate dalla misura dei dettagli aggiuntivi. Ora che il math rock è un lontano ricordo, la dubstep è stata da tempo interiorizzata e lo scintillante trampolino americano (non luogo dadozione del periodo di puri producer) è stato lasciato alle spalle, i tre ragazzi bresciani tolgono dove era stato aggiunto, anteponendo la lima alla cazzuola. La ricerca va ora in direzione del minimalismo e della volumetria del suono: meno quantità, meno strato, meno accumulo. Stelle Fisse è il disco al risparmio un risparmio al solito studiatissimo, maniacale degli Aucan.
Se non fosse che tale, tanta piacevolezza, tale, tanta accuratezza colpisce ma non smuove, impressiona ma non scava. Ogni passaggio di Disgelo (cold wave ambientale appoggiata su un beat quasi hip hop) sembra dissezionato a tavolino, inserito in una catena cucita a puntino, senza alcun sussulto. Quando i synth grondano acido e le ritmiche vengono tagliate con precisione da architetti (Disto), o una semplice chitarra acustica segue un pattern ossessivo che quasi riporta alla mente Carl Craig (ma in Grime 3 ci sono, ancora, fantasmi di EDM che si infilano tra un loop e laltro), a rimanere impressi non sono i brani in sé, quanto la ricercatezza dellarchitettura che gira loro intorno. Nonostante varietà rimi qui con sobrietà (lunica eccezione sono le torreggianti svisate di Light Sequence), la polpa non giustifica, né riempie labito. È come leggere un copione già scritto: può suscitare interesse lo stile del racconto (la sartoria cinematica di Cosmic Dub colpisce per la sua raffinatezza), ma non il puro contenuto, esplicitato e dunque predittibile (già dallattacco percussivo di Friends, con contrafforti vocali filtrati in odore Four Tet, si sa dove si andrà a parare).
Impera, dopo innumerevoli ascolti, il sospetto che lossessione per la forma stia inaridendo gli Aucan molto più di quanto non dica il risultato finale discreto, ci si intenda, ma lontano da quelleccellenza che si poteva e doveva pretendere dopo una pausa così lunga. Le stelle rischiano di rimanere più che fisse: pietrificate.
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