V Video

R Recensione

6/10

Aucan

Stelle Fisse

Ciò che mi attirava negli Aucan dell’omonimo esordio e, in percentuali ancora maggiori, in quelli ibridi dell’acclamatissimo seguito “Black Rainbow” era, sostanzialmente, l’intelligenza di gruppo: sapere come, dove e quanto lasciar correre fantasia ed inventiva, all’interno di paletti di genere alquanto rigorosi ed allergici all’iniziativa del singolo. Le pecche di una scrittura didascalica, eutrofizzatasi poi in pochissimo tempo sino, forse, a macchiarsi dell’eccesso contrario (un’eterogeneità a “puzzle” non sempre centrata di cui, a posteriori, si può incolpare il second act), venivano superate dalla misura dei dettagli aggiuntivi. Ora che il math rock è un lontano ricordo, la dubstep è stata da tempo interiorizzata e lo scintillante trampolino americano (non luogo d’adozione del periodo di puri producer) è stato lasciato alle spalle, i tre ragazzi bresciani tolgono dove era stato aggiunto, anteponendo la lima alla cazzuola. La ricerca va ora in direzione del minimalismo e della volumetria del suono: meno quantità, meno strato, meno accumulo. “Stelle Fisse” è il disco al risparmio – un risparmio al solito studiatissimo, maniacale – degli Aucan.

Se non fosse che tale, tanta piacevolezza, tale, tanta accuratezza colpisce ma non smuove, impressiona ma non scava. Ogni passaggio di “Disgelo” (cold wave ambientale appoggiata su un beat quasi hip hop) sembra dissezionato a tavolino, inserito in una catena cucita a puntino, senza alcun sussulto. Quando i synth grondano acido e le ritmiche vengono tagliate con precisione da architetti (“Disto”), o una semplice chitarra acustica segue un pattern ossessivo che quasi riporta alla mente Carl Craig (ma in “Grime 3” ci sono, ancora, fantasmi di EDM che si infilano tra un loop e l’altro), a rimanere impressi non sono i brani in sé, quanto la ricercatezza dell’architettura che gira loro intorno. Nonostante varietà rimi qui con sobrietà (l’unica eccezione sono le torreggianti svisate di “Light Sequence”), la polpa non giustifica, né riempie l’abito. È come leggere un copione già scritto: può suscitare interesse lo stile del racconto (la sartoria cinematica di “Cosmic Dub” colpisce per la sua raffinatezza), ma non il puro contenuto, esplicitato e dunque predittibile (già dall’attacco percussivo di “Friends”, con contrafforti vocali filtrati in odore Four Tet, si sa dove si andrà a parare).

Impera, dopo innumerevoli ascolti, il sospetto che l’ossessione per la forma stia inaridendo gli Aucan molto più di quanto non dica il risultato finale – discreto, ci si intenda, ma lontano da quell’eccellenza che si poteva e doveva pretendere dopo una pausa così lunga. Le stelle rischiano di rimanere più che fisse: pietrificate.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

AndreaKant (ha votato 6,5 questo disco) alle 13:12 del 4 gennaio 2016 ha scritto:

Concordo sull'analisi, mentre il mio giudizio e' lievemente migliore: un disco prevedibile ma godibile o, come dice la descrizione, "appagante", specialmente nella sua prima meta'.

fgodzilla (ha votato 7 questo disco) alle 17:18 del 8 gennaio 2016 ha scritto:

il sommo come al solito non si discute .......a me e' piace piu' la seconda parte ....certo Black rainbow e' tutta altra musica

dal vivo pero' meritano assai ............