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R Recensione

8,5/10

Burial

Rival Dealer EP

Eccoci qua. Puntuale come un orologio svizzero, a un anno perfetto di distanza dalla release di Truant/Rough Sleeper, il cantore della metropoli contemporanea che risponde al nome di Burial torna a farci emozionare con un nuovo EP: Rival Dealer.

William Bevan? Non William Bevan? Che importa?

Per parafrasare qualcuno, “Non è questo il problema”.

Reduce da un EP non al meglio delle sue possibilità (Truant, infatti, aveva abbassato un po’ l’asticella delle produzioni a cui eravamo abituati), il producer londinese torna sulla cresta dell’onda con questi 28 minuti condensati, sublimati, apocalittici.

Tre brani che non sono brani; sono quasi allegorie di tre cantiche, un viaggio che si sviluppa dal passato al futuro della dubstep, per svelarne nuovi confini, oltre l’ignoto.

Veniamo subito catapultati nel mezzo dell’azione con la title-track: Rival Dealer strizza l’occhio, in primis, a vecchie produzioni di Burial stesso (odasi Archangel – o più in generale Untrue e Street Halo EP), e ha un sentore agguerrito, old-rave, chiaro riferimento a Kindred EP (uno dei picchi di produzione artistica del soggetto in questione). L’autocitazionismo è una tecnica che ci si può permettere solo quando si è diventati un’istituzione – e Bevan, checché se ne possa dire – lo è a tutti gli effetti.

La voce soave e metallica a un tempo, quel “I’m gonna love you more than anyone” che si converte quasi in una minaccia, il beat elettronico dal ritmo spezzato, la velocità che incalza: Rival Dealer è uno scontro epico tra angeli e demoni, una dichiarazione d’amore mentre si sta compiendo il Giudizio Finale.

Dopo circa 8 minuti uptempo (una scelta alquanto rara per lui), lo scontro sembra attenuarsi; lo scenario inizia a disvelare i resti della battaglia post-dubstep, le atmosfere si dilatano a mo’ di sogno, cifra stilistica che solo Burial riesce a regalarci: la sua firma. L’understatement sul finale è “I thought that something/ Come down to us”, un eco che si dispiegherà, come un fil rouge, per tutte e tre le tracce.

Volgiamo lo sguardo al cielo, ma possiamo solo ammirarne delle fugaci vedute, da qui sotto terra.

Hiders è il punto di non ritorno: le prime lines hip-hop 80’s trasposte su una base di piano proiettata in una dimensione siderale, la voce femminile che ci culla per tutta la durata del brano con frasi rassicuranti; queste, signori, sono vere e proprie coccole che il nostro ci regala, in versione miniaturizzata. Qui, Burial varca il confine “pop” della vera dubstep. È un bene? È un male? Non si sa, ma chi vorrà esprimersi artisticamente in merito da ora in poi dovrà sicuramente confrontarsi con questo tema.

Verso la fine il tutto si placa, la sensazione che ci resta è quella di levitare a mezz’aria, in limine, di fronte a un prodigio, e la domanda sorge spontanea: cosa accadrà ora?

Finalmente, approdiamo sulle coste dell’enigma. Come Down to Us è il capolavoro assoluto di questa raccolta, tema di insuperabile bellezza che non vuole essere ingabbiato in facili definizioni.

Excuse me, I’m lost” è la confessione d’esordio, pronunciata da un ragazzino (il kid di Hiders?). Si può perdere la testa dietro molte cose oggi, e Bevan sembra saperlo bene: il suo manifesto è cosmico, universale, abbraccia chiunque si rivolga a lui, come il sole dona a tutti gli abitanti della terra i suoi raggi senza distinzioni…

“You’re/the Sun…” “I/ will always protect you”; sono lyrics piene di speranza quelle che ci vengono regalate qui, su un intreccio che hanno un nonsoché di arabeggiante al principio, che poi si perde per esser sopraffatto da un altro tema principale più sfumato, ma pieno d’amore, di synth dal suono di sitar, sempre sospesi nello spazio-tempo, congelati in una dimensione ascetica, più elevata.

Dopo una pausa, fatta di rumori metropolitani, silenzi assenti, sirene, ululati, voci di cyborg (?) proiettate da un megafono e da un computer, riprende il tema arabeggiante, “sporcato” da campionamenti di ogni sorta come ormai siamo abituati ad aspettarci dal nostro. Dopodiché, il breakdown. Uno scratch segna il nuovo cambiamento; il tema arabeggiante sparisce, rimane solo il tema principale amplificato e reso caldo.

Una vera sorpresa spicca sul finale, quando la musica sfuma per lasciare spazio all’intervento del regista transgender Lana Wachowski al galà sui diritti umani di San Francisco del 2012: "Without examples, without models, I began to believe voices in my head - that I was a freak, that I am broken, that there is something wrong with me, that I will never be lovable...Years later I find the courage to admit that I am transgender and this doesn’t mean that I am unlovable...So that this world that we imagine in this room might be used to gain access to other rooms, to other worlds previously unimaginable...".

Ormai, in questo finale sospeso, pronto a nuove insondabili piroette, siamo usciti a riveder le stelle.

“I put my heart into the new EP, I hope someone likes it. I wanted the tunes to be anti-bullying tunes that could maybe help someone to believe in themselves, to not be afraid, and to not give up, and to know that someone out there cares and is looking out for them. So it's like an angel's spell to protect them against the unkind people, the dark times, and the self-doubts.”.

Ecco cos’è Rival Dealer, o come mi piace pensarlo almeno (e anche al suo autore): un incantesimo di protezione contro tempi bui, un araldo di ottimismo nel nichilismo del cosmo.

Se in Kindred l’operazione che William Bevan ha effettuato è stata quella di rivolgersi alla terra per svelarne i layers archeologici – quella terra contaminata dall’acciaio e dal turbocapitalismo, dai neon artificiali e dalle piogge acide -  in Rival Dealer rivolge il suo sguardo direttamente al cielo; un cielo metallico, buio, ingabbiato da un effetto serra che stritola in una morsa gli abitanti della superficie sotto di sé, ma che in alcuni spazi interstiziali ancora riesce a far filtrare dei raggi di speranza; raggi che, sagacemente, Burial cattura in piccoli barattoli di vetro, pronti all’uso quotidiano, una cura in perfetto stile post-industriale contro i peggiori dei mali che affliggono l’uomo moderno: la disperazione, l’alienazione e la depressione.

La scelta di continuare a rilasciare EP mi sembra un saggio indicatore di evoluzionismo camaleontico – un modo per segnare rapidamente il cambio del nostro post-moderno, la cui velocità incrementale cresce esponenzialmente giorno per giorno.

Le tematiche d’amore, sole e stelle rendono così lecito il paragone ad un altro poeta d’alta levatura. Sembrerebbe che lo scettro della “poesia” contemporanea risieda ora non più nella città della cupola di Brunelleschi, bensì in quella del Big Ben.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 13 voti.
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Lepo 8/10
Noi! 8/10
rubiset 8,5/10
Suicida 8,5/10
hiperwlt 8,5/10
REBBY 6,5/10
motek 5/10

C Commenti

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Lepo (ha votato 8 questo disco) alle 14:27 del 2 gennaio 2014 ha scritto:

Meraviglioso

hiperwlt (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:48 del 28 gennaio 2014 ha scritto:

Ad oggi, tra gli EP, quello che ho apprezzato di più. Praticamente me ne sono innamorato - per come proietta grazia ed "evoca" su macerie di decadenza elettronica. E in questo senso, roba come "Come Down to Us" la trovo impressionante.