James Blake
Enough Thunder EP
La musica di James Blake è il suono dei tempi moderni; non per forza di quelli che cambiano il tempo non cambia mai veramente, ruota come un cerchio ma appunto di quelli che tornano su se stessi un po' più nuovi di prima, tirati a lucido come per un evento importante. E l'evento importante, quello che ha catalizzato l'attenzione dei più per la portata potenzialmente rivoluzionaria di un nuovo modo d'intendere (e ascoltare) dubstep e soul musica elettronica e formato canzone l'abbiamo avuto giusto un anno fa, alle porte di Febbraio o giù di lì, con l'avvento in LP del nostro giovane londinese nel suo "James Blake".
L'album rivoluzione? Non ancora e non del tutto, ma quasi: la volontà di uscire fuori dagli schemi c'è stata, e pure le capacità nel dosare break-beat sbilenchi, deformazioni glitch e Burial androginia varia con un romanticismo cantautorale iper-malinconico, fatto di una voce-vocoder in fremito costante, linee vocali curate separatamente e poi sapientamente mixate, saliscendi di tono (rimandi ad Anthony quanti ne volete) e un pianoforte in accompagnamento che riconduce il tutto a una dimensione minimale da studio e da camera. A mancare nel pur eccellente omonimo è stata soprattutto la costanza nella qualità della scrittura compositiva (che c'è, ma ne vogliamo di più e per tutta la durata dell'album), laddove questo ennesimo EP, "Enough Thunder", pecca anche in progressione compositiva, nell'assenza di un'evoluzione vera nelle basi delle drum-machine, che sanno fin troppo di copia-incolla e davvero poco di nuovo. Brani come "Once We All Agree" e "Enough Thunder" non aggiungono nulla al soul-step inventato da Blake, servono solo a ribadire lo stile divulgandone il verbo ma appiattendone il contenuto. Superata con passabile interesse la digressione "We Might Feel Unsound", tutta batteria elettronica e asimmetrie vocali, Blake apparecchia comunque un paio di pezzi di buona riuscita: "A Case of You", cover della splendida di Joni Mitchell, più scura nei toni, racchiusa in un duetto piano-voce per Blake e meno ariosa nell'andamento rispetto al folk acustico dell'originale, ma in generale gradevole pur nella frettolosità dei tempi melodici (quanta fretta, questi giovani d'oggi...); e la successiva "Not Long Now", ammaliante nella lenta apertura, sacrale per voce e tastiere a mo' d'organo, e riuscitissima nel crescendo timbrico della voce, che sale nelle ottave e si adagia alla perfezione alla risalita dettata dalla batteria elettronica, fino a sfociare in un climax dub sincopato e pulsante.
Cosa chiedere dunque a James Blake? Sperimentazione o flessione cantautorale? Diremmo tutt'e due, ché sono decisamente nelle sue corde; ma adesso basta con lampi e tuoni (e gli EP), vogliamo i fulmini!
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