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R Recensione

7/10

Machinedrum

Room(s)

Travis Stewart, in arte Machinedrum, è una vecchia conoscenza dell’underground elettronico statunitense. Da oltre 10 anni infatti dal suo laboratorio a Brooklyn tira fuori sperimentazioni di ogni tipo, dall’IDM alla deep house. Inoltre insieme al suo socio Praveen Sharma da sfogo alle sue fantasie dub con il moniker Sepalcure incidendo per la Hotflush.

Oggi il campo della sua ricerca è l’Uk Bass, ed allora forse è meglio precisare già in partenza che questo lavoro non ha nulla a che spartire con le seghe mentali di taluni pseudo intellettuali (soprattutto nostrani) che, rinchiusi nel bagno della propria mente, immolano diotrie al post dubstep tenendo in mano la copertina di James Blake.

Room(s) è un disco rivolto alla pista essendo basato principalmente sul ritmo.

Intenzione dell’autore è gettare un ponte tra la sperimentazione e il pop, come egli stesso racconta alla rivista on line xlr8r.

L’elemento vocale, presente in ogni traccia sottoforma sia di cut up e loop che di cantato classico, non viene nè disciolto negli effetti come per Burial e Zomby nè tanto meno frantumato in mille samples come Fourtet, piuttosto viene caricato della spinta e della sensualità dell’house.

Le percussioni picchiano forte su un beat nervoso, figlio dei rapporti promiscui di mamma Uk garage, che corre sempre più veloce verso il precipizio salvo fermarsi di colpo all’ultimo istante prima del salto. Al contrario le melodie sono soffici e catchy, utilissime a conquistare l’ascoltatore fin dal primo ascolto. Per quel che riguarda il basso, invece, si nota una certa somiglianza con le produzioni della Apple Pips (Door(s)), dove per quanto struttura portante del progetto non assurge mai al ruolo di mattatore limitandosi a tirare i fili del gioco da dietro le quinte.

Ciò che colpisce di più è la facilità con cui Travis maneggia stili e atmosfere diverse: la vivace piano house di Come1, il funky acido psichedelico di Sacred Frequency ed ancora il moderno 2step in GBYE e U Don’t Survive,o i momenti intimisti di Lay Me Down e quelli crepuscolari di She died there. Il tutto per arrivare alla sintesi di The Statue in cui Machinedrum riesce a modellare il mix perfetto tra tutte le citate derivazioni.

In definitiva Room(s) è un solido album dance in grado di garantirsi il suo spazio all’interno delle playlists dei Dj’s, che saranno ben contenti di avere la canzone giusta per ogni circostanza, confermando una volta di più che l’unica strada percorribile per la ricerca dell’innovazione sta nel crossover di esperienze diverse.

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 7 voti.
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Cas 8/10

C Commenti

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Cas (ha votato 8 questo disco) alle 1:03 del 28 settembre 2011 ha scritto:

Secondo me questo, assieme al SBTRKT, è il miglior disco future garage dell'anno. Davvero un gioiello.

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 1:19 del 28 settembre 2011 ha scritto:

Disco velocissimo, frullato di stili impossibile da catalogare per profani del settore come me: mi è stato detto future-garage, uk bass, juke, footwork... io li prendo tutti per buoni, ringrazio e mi crogiolo nel piacere: da "U Don't Survive" in poi, quando entra nel vivo dell'oldschool jungle (new school per me), è da mille e una notte. Top ten, right nau.

synth_charmer (ha votato 9 questo disco) alle 11:56 del 28 settembre 2011 ha scritto:

caro il mio spadavecchia, stavolta accecato dall'ossessione di contraddire le analisi di altri hai vistosamente toppato mi sa che tra i vari pellegrinaggi in giro tra i club d'europa non ti sei mai imbattuto nel footwork, che non è (ancora) un genere da pista. Questo non è semplicemente un "solido disco dance", qui la house non c'entra nulla, il dubstep pochissimo. Il disco si avvicina ad essere uno spartiacque principalmente per come ha metabolizzato la materia footwork (l'etichetta è la Planet Mu, insomma, il campanellino doveva scattare : c'è uno stacco netto rispetto alle ipotesi ancora acerbe di ragazzi di chicago come DJ Nate o DJ Rashad, con questo disco il footwork trova la propria dimensione formale. E ci riesce mischiandosi con l'UK garage (meglio ancora, col 2step), esaltando i punti di contatto ritmici ma attenuando le spigolosità più aguzze del genere fino ad ora. Rebby si lamentava della "segretaria con la vecchia macchina da scrivere", per dire che fino ad ora il footwork era un genere fatto di eccessi ritmici, figlio del ghetto e fatto per la danza urbana, da strada. Qui diventa una nobile evoluzione, il 2step gli ammorbidisce il taglio aggressivo e nello stesso tempo anche la garage ne esce rafforzata, con un taglio ancora più efficace. Tutto qua? Nemmeno per sogno: Stewart si inserisce anche nel percorso soulstep dell'anno (è qui che si può lanciare un sasso verso Blake, non per il post-dubstep ma per il soul!), Room(s) costruisce soul senza il canto, ma con gli stessi frammenti copia-incollati tipici del footwork. Burial (o SBTRKT) tagliuzzati col software e ricomposti con la forma future-garage. E il collante che unisce tutte queste sperimentazione è il breakbeat storico della jungle, estratto dal rave e reso nobile per l'ascolto. Al di là di quanto può essere percepito come bello, questo è soprattutto un album molto importante, per come porta avanti tutte le più moderne espressioni elettroniche e per come si colloca esattamente al centro tra le tendenze più battute dell'anno. Di tutto questo la stampa estera se n'è accorta prontamente, posizionando il disco tra i capolavori dell'anno, non è mica un invenzione della stampa italiana. Recensione non solo ingenerosa ma anche "cattiva", con una collocazione stilistica distorta e fuorviante, e col sospetto che sia mossa dal semplice gusto di mostrarsi reazionari. Gran peccato, visto che stiam parlando di uno dei dischi più importanti dell'anno. Senza peli sulla lingua, federico, tanto ormai tra noi due non serve più essere formali

djsynth, autore, alle 12:20 del 28 settembre 2011 ha scritto:

guarda carlo ti dico solo questo: quest'estate a new york ero ad un suo showcase a brooklyn (halcyon record store). Punto e basta, la mia è una presa di posizione verso recensioni come la tua e quella di edoardo che più che raccontare dischi sembrano supercazzole

synth_charmer (ha votato 9 questo disco) alle 12:34 del 28 settembre 2011 ha scritto:

RE: quest'estate a new york ero ad un suo showcase a brooklyn

e allora? questo non cambia di una virgola la questione, fede. Tu hai assistito al lato club di machinedrum, pensare che su disco l'approccio (suo, e di conseguenza critico) sia lo stesso è quantomeno ingenuo. Qui abbiamo capito tutti che sei un appassionato del club, ma non è l'unica visione possibile alla materia dance. A volte è la visione corretta, altre volte, come in questo caso, no. E se uno si limita solo a questo approccio finisce per veder tutto a senso unico e perdersi il vero spirito di molti dischi, oltre a risultare monotono vabbé è un discorso che risale a tempi immemori, sappiamo entrambi che non ti convinco, tu reagirai con stizza e accumulerai rancore verso di me (che t'ho fatto poi, di preciso? ) da andare a sfogare in giro per il web. E a perderci, in tutto questo, è la valutazione di sdm su machinedrum. Contenti voi bye

djsynth, autore, alle 12:22 del 28 settembre 2011 ha scritto:

ah tanto per dare un'informazione di servizio: il termine future garage gira dal 1998 quando danny tenaglia chiamò così un suo rmx per ultra natè.

djsynth, autore, alle 15:46 del 28 settembre 2011 ha scritto:

nulla contro di te figuriamoci

ma onestamente non mi piace questo modo di fare (tipico italiano) per cui bisogna dare un significato più intellettualmente accettabile alla dance pena pubblico disprezzo.

Prova ne è che fino alla seconda metà degli anni '90 (con lo sdoganamento della dnb) la techno era roba per drogati e fascisti.

Oggi si cerca di intellettualizzare il dubstep di modo da poter andare a ballare senza nascondersi con l'impermeabile.

Tutto qui niente di più.

Sul discorso della prospettiva del club ti dico solo questo: ascolta questo album a casa, poi ascoltalo con un funktion one mentre ti senti una cosa sola con tutta la gente intorno ecco ora dimmi se non suona un pò diverso. pace

synth_charmer (ha votato 9 questo disco) alle 16:08 del 28 settembre 2011 ha scritto:

RE: bisogna dare un significato più intellettualmente accettabile alla dance pena pubblico disprezzo

ma mi sembra che ormai sia una questione largamente superata questa! Non c'è nessuna mission di dover intellettualizzare alcunché, quest'album NON PUO' esser letto solo dalla pista, c'è una ragnatela di deduzioni stilistiche che si DEVONO fare. E se non le fai non cogli il vero valore del disco, mannaggiatté! vabbé va, ci rinuncio. Alla prossima!