R Recensione

8/10

Shackleton

Three Eps

Sammy Shackleton ovvero the darkside of the dubstep, ovvero colui che ha avuto il coraggio di mandare all’aria una label di successo come la Skulldisco perchè non più in linea con la propria idea sonora. Oggi per definire la sua dimensione, e quella del suo ex socio Appleblim, bisogna ricorrere al termine post-skulldisco rimarcando quindi con forza l’originalità che li contraddistingue (anche se seguono percorsi diversi) dagli esordi e che non può essere appiccicato ad altri pur meritevoli discendenti.

Dopo aver flirtato con diverse etichette Shackleton decide di pubblicare una raccolta di singoli inediti su Perlon, chiarendo subito che non si tratta di un album vero e proprio.

La scelta della label berlinese, che già in passato l’aveva visto protagonista con un remix all’amico/fan Ricardo Villalobos, suona come la carica definitiva del dubstep alla conquista della Terra Santa della minimal techno, con la differenza che però i conquistatori non cospargono di sale il suolo su cui cavalcano, quanto piuttosto ne assimilano la cultura e le tecniche di produzione.

Come nella minimale del Dj cileno più famoso del mondo le tracce sono lunghe suite dove, su un basso meditato e profondo, succede di tutto per dare l’ipnotica sensazione che non sia mutato nulla.

Si galleggia alla deriva sospinti da una corrente di percussioni mediorientali (da sempre marchio di fabbrica di Shackleton) e micro structures, mentre il canto delle sirene ci sibila nelle orecchie sottoforma di echi e riverberi richiamando la tradizione locale Basic Channel/Chain Reaction.

Un disco da assaporare stando seduti in poltrona in una fredda notte d’inverno coccolati dai suoi mille dettagli o da ballare con energia saltando sugli iperbassi enfatizzati dai potentissimi Funktion One. D’altronde con Sammy è così, inutile cercare di appioppargli una definizione bisogna soltanto goderselo.

V Voti

Voto degli utenti: 5,3/10 in media su 3 voti.
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loson 8/10

C Commenti

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loson (ha votato 8 questo disco) alle 11:02 del 24 dicembre 2009 ha scritto:

Confesso di non aver mai stravisto per la produzione Skull Disco, e in particolare per le tracce prodotte dallo stesso Shackleton fino all’anno passato: spesso prodighe di intuizioni geniali ma condotte con scarso senso della misura, troppo “lineari”, poco coinvolgenti sia per il cervello che per gli arti inferiori. Adesso il produttore cambia qualche carta in tavola: via qualsivoglia retaggio hardcore e jungle; largo, invece, al dub della scena techno berlinese e a soluzioni sonore più d’avanguardia. Il risultato è un "dubstep" (e così ancora può chiamarsi) narcolettico, che si nutre delle sabbie del Medioriente, del pantano londinese e dell’arancione marziano delle notti nella capitale teutonica; regno a tre dimensioni del Sub-bass, dove ogni elemento ritmico pare inghiottito da bassi e drones, ridotto a grumo di subwoofer sfondati; un plumbeo conteorcersi di materia dub (“Something Has Got To Give” e il suo concerto di voci morenti: l’industrial secondo Shackleton), incubo tentacolare che ti si attorciglia alla gola, rubandoti l’aria. Gran disco, colmo di sottigliezze ed espressività. 7,5.