V Video

R Recensione

5/10

Skrillex

Recess

Dopo un lustro passato alla meglio tra polemiche scatarrate in faccia e salamelecchi santificatori, la verità che resta è una sola: Recess è il primo album di Skrillex. Tutta quell’ironia sul taglio dei capelli unti, sugli occhiali da hipster con la montatura in osso, sulla sempiterna diatriba tra nuove vie comunicative e vecchi retaggi old school, e tutti i dialoghi intorno all’importanza carismatica di Skrillex nella scena EDM, sono solo fuffa. E ad essere sinceri fa un po’ ridere che, a  parte il matrimonio ortodosso tra reggae ton, dubstep e dance hall celebrato su First of Equinox e qualche featuring che profuma molto di dollari ma poco di arte (compreso quello con i Korn), il nostro abbia varcato le sue personali colonne d’Ercole soltanto adesso.

Recess è l’iniziazione. Un banco di prova che ostenta i suoi intenti goliardici sbattendo in copertina un essere a metà tra il tarpano e il trascendente. Una figura che sembra uscita dal plot di un cartone della Pixar per finire appiccicata sulla carena di uno scooter truccato. E tanto basta per introdurci nel beato mondo di Skrillex. In quel microcosmo che l’ha reso famoso e da cui lui – nomen omen di Recess – rimane saldamente ancorato. Perché la ciccia, al netto della prova, è veramente poca e mal distribuita. Si respira tanta dubstep, dance hall, EDM ed orpelli d.o.c., accompagnati da una caterva di ospiti che, nonostante la caratura artistica, non riescono a dare l’abbrivio necessario a far decollare l’album.

Si apre lo scenario con All is fair in love and Brostep - apripista della nuova avventura skrillexiana – ed emerge immediatamente la cifra stilistica fatta di continui drop bass e venature dance hall, in questo caso prestate alla sapiente arte dei Regga Twins che ne finalizzano l’utilizzo in salsa reggae.

Nell’insalata digitale si mescolano tanti, troppi ingredienti che inficiano la ricetta finale. A volte a causa di soluzioni al limite del sopportabile (le voci stonate reiterate su Doompy Poomp) a volte per certe aspettative tradite dai featuring altisonanti che si prestano a prestazioni scialbe (è il caso di Diplo su Dirty Vibe) altre ancora, come su Stranger, per delle soluzioni d’arrangiamento  ridicole che basano la propria pietra angolare su cambi di bpm illogici e fastidiose note di synth glissate.

Il corto circuito del buon gusto termina laddove Skrillex inizia a modellare la pasta iridescente del dubstep con quella densa dell’ hip hop dando alla luce Try it out, oppure quando si tenta l’improbabile connubio, su Ease my mind, tra le fascinazioni orientali, l’EDM ed una ostentata passione per i registri vocali di Bjork (reinterpretati per l’occasione da una talentuosa Malin Dalsthröm) oppure sulla deflagrazione imponente di Ragga Bomb dove il nostro bissa la collaborazione con i Ragga Twins, stavolta con risultati molto più dirompenti rispetto alla scialba canzone d’apertura.

Nessun passo in avanti, nessun azzardo. Skrillex cade nella trappola dell’eccesso e rimane ancorato ad un immaginario che puzza troppo di adolescente sconvolto. Probabilmente vive ancora comodo nella sua enorme e confortevole gabbia dorata. Anche se a questo punto sorge un dubbio: visto il grande successo ottenuto con featuring ed EP, non sarebbe meglio mettere da parte certe voglie a 33 giri?

V Voti

Voto degli utenti: 3,5/10 in media su 5 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Lepo 0,5/10
B-B-B 4/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Lepo (ha votato 0,5 questo disco) alle 13:46 del 25 giugno 2014 ha scritto:

Perfetto esempio del nerdismo da quattro soldi che sta falcidiando il gusto artistico delle nuove generazioni. Fa venire il nervoso solo a guardarlo in faccia

Leonardo Geronzi, autore, alle 16:06 del 25 giugno 2014 ha scritto:

Eh si! Per vergare questa recensione ho avuto bisogno di una calma proverbiale visto che non amo molto il soggetto. Dopo ripetuti ascolti ho capito che il pregiudizio in realtà era fondato. Voglio dire: un paio d'anni fa mi capito di scrivere la recensione di Rusko, altro tamarretto che fa dubstep e dancehall come se piovesse, e nonostante il personaggio non mi andasse a genio la musica non era malaccio. Qui vedo tanto marketing e pochissimo talento. Troppi drop bass, troppi orpelli, troppi filtri. C'è la sindrome del ragazzino che deve giocare con Ableton e Pro Tools.

Lepo (ha votato 0,5 questo disco) alle 20:52 del 25 giugno 2014 ha scritto:

Sei stato persino generoso almeno nel voto con questo roito ghghgh