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R Recensione

8/10

Breton

Other People's Problems

A pensar male sembrerebbe narcisismo. Il nome Breton, infatti, omaggia con esibita arroganza il padre del Surrealismo, colui che ne scrisse le linee guida per i futuri proseliti. Tuttavia, una volta spinto il tasto play, le congetture fanno strada alla realtà concreta. L’omaggio a Breton è volutamente autoreferenziale,  da ricercarsi nelle istanze che animano l’esordio discografico della band Inglese. “La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l'antico fanatismo umano.”

Con queste parole il famoso surrealista onorava la libertà; libertà di interpretare l’arte nella sua follia più intima per poi lasciarla esprimersi attraverso le sue numerose forme e manifestazioni di cui i Breton (nel caso specifico dell’album) ne sono il simulacro. Il progetto di questi cinque ragazzi londinesi era di canalizzare le diverse forme artistico-espressive in un’unica idea comune, per questo inizialmente hanno fondato i Breton Labs, un collettivo multimediale situato in uno stabile abbandonato in quel di Londra, dove i nostri mixavano pezzi di Tricky, The Temper Trap e Local Natives oltre a produrre video che accompagnavano le loro prime sperimentazioni elettro. Col tempo il sodalizio si è rafforzato così tanto da portare i cinque londinesi ad organizzarsi come un organico simil-band con cui poter produrre pezzi inediti. Nascono così i tre singoli che li mostrano al grande pubblico e, di conseguenza, l’album che li consacra come nuovo fenomeno artistico. Other’s people problems è un album particolare, viene etichettato (per quanta credibilità abbiano oramai le etichette di genere date ai gruppi) come art-rock ma in realtà è molto di più. Nasce da un embrione brit-rock - lo stesso che ha partorito gruppi seminali come Strokes o Bloc Party - e da questi gangli linfatici si snoda attraverso geniali architetture hip hop sino a dissolversi e fondersi con le atmosfere lisergiche del trip hop più contaminato. Ostenta una cura certosina per gli arrangiamenti esornativi, che aspergono inestimabili gocce di splendore, dai violini straziati adoperati come tema principale su Peacemaker, sino agli eleganti intermezzi d’arpa che contrappuntano una base elettro rock creando lacune spazio temporali all’interno di Edward the confessor.  

Sotto questa varietà di materia in evoluzione vigila la voce istrionica, stonata e tediata di Alice Russell, vero e proprio collante di ogni canzone; celata da quintali di filtri riesce comunque ad erigersi con ghirigori melodici mai scontati ed evoluzioni stilistiche pregne di talento. Other’s people problems pulsa battiti artistici in ogni sua forma, nelle violente saturazioni dei sintetizzatori in Ghost note, nei divertenti beat dance punk di Wood and plastic, nei richiami industrial di Edward the confessor sino alle eteree palpitazioni dubstep di The commission.

La musica dei Breton riesce a dipingere mondi apparenti dove guida l’immaginario dell’ascoltatore tra i corpi sudati che animano le trasgressive nottate dei rave party, nelle eclissi lunari di misteriosi universi paralleli o in livide società distopiche dove gli uomini vivranno attaccati a maschere con doppia camera di filtraggio. Più che al Surrealismo, Other’s people problems guarda ad un inquietante ed inevitabile futuro prossimo.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 6 voti.
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ciccio 8/10
gull 7/10
motek 6/10
andy capp 5,5/10
loson 7/10

C Commenti

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gull (ha votato 7 questo disco) alle 18:55 del 24 luglio 2012 ha scritto:

Buona segnalazione. Lo sto ascoltando in questi giorni grazie alla tua appassionata recensione e mi piace piace piace. Grazie.