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R Recensione

6/10

Shit Robot

From The Cradle To The Rave

All in. La scuderia DFA non si nasconde, scommette tutto su questo disco, e ci si gioca la faccia. L’uscita di From The Cradle To The Rave è preceduta da una mobilitazione generale del sistema mediatico, con la benedizione del boss James Murphy, che nel frattempo dirige e tira le fila dell’album, e la collaborazione di artisti di bandiera come Juan MacLean, Nancy Wang, Alexis Taylor (Hot Chip) e lo stesso Murphy, a cui si aggiungono realtà meno risonanti come Ian Svenonious, Planningtorock e Saheer Umar degli House To House. Tant’è che viene continuamente da chiedersi cosa è davvero farina del sacco di Markus Lambkin aka Shit Robot, DJ irlandese che (è bene ricordarlo) non è una scoperta della DFA, visto che frequenta le piste dance già dal lontano ’92.

Sia come sia, è inutile girarci intorno: questo disco è la DFA oggi. Pertanto vi chiedo, cosa ne pensate dell'etichetta newyorkese? Amate ancora le loro pubblicazioni come negli anni del primo innamoramento, o iniziate adesso a percepire un calo di interesse? Nelle risposte si nasconde probabilmente l’apprezzamento che avrete verso l’album. Già, perché From The Cradle To The Rave è degno rappresentante della label in ogni aspetto: grande potenza di mezzi, orientamento verso sonorità peculiari, ma anche tanto mestiere e una sicurezza di sé che rasenta la spavalderia.

Un disco dai due volti, dunque. Perchè è vero che ci sono brani che da soli possono valere il prezzo del biglietto: Losing My Patience e Take 'Em Up, mirabili incastri di electro, italo-disco e funk, coi marchi a fuoco dei vocalist, Mr. Hot Chip prima, la Wang dopo, che da soli danno una irresistibile marcia in più. Una coppia d’assi con un buon kicker come Answering Machine, cornice ottima per (revi)valorizzare le radici della disco music e condurne lo spirito originario nell’anno domini 2010.

E' anche vero, però, che alcune altre tracce crogiolano il proprio autocompiacimento lungo una distesa di groove targati DFA, classici vini della casa che suonano ormai vintage. Tra questi, sicuramente Tuff Enuff e (indovinate un po? Esatto!) Triumph, proprio il pezzo scritto a quattro mani col padrino di etichetta. E a questi va aggiunto il prolungato gioco di mestiere di Juan MacLean in Grim Receiver, dove otto minuti e mezzo bastano per trasformare la ripetitività circolare tipica della house in monotonia adatta più al clubbing (magari con l'aiuto di qualche pasticca colorata) che all'ascolto lucido.

Insomma, un disco che può farsi amare o odiare, per i motivi di cui sopra. La puntata è coraggiosa, ai limiti del bluff, ma a conti fatti la mano non è da buttare via. Se ridimensionato nella giusta misura, dà soddisfazione senza far strappare le vesti. Poi dipende anche da come solitamente reagite alle esagerazioni: vi danno sui nervi, o vi strappano una risatina ironica?

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tramblogy alle 20:11 del 21 ottobre 2010 ha scritto:

....uuhmmm.....strizza un pò l'occhio a kidA