AUN

Phantom Ghost

A oltre 35 anni da quelle strategie ambientali ideologizzate da Brian Eno, ci troviamo ancora a comparare con esse ogni ipotesi di landscape sonora che giovani architetti musicali si ingegnano di ridisegnare, sotto l'influenza di quella fondante esperienza. Ma, come Eno è stato aperto ad ogni sentore di variazione del campo elettromagnetico nella musica che gli girava attorno, producendo tanto quel "classic" ambient di cui nessuno si sente di togliergli la paternità, quanto forme più dinamiche di Elektronische Musik, così anche i suoi allievi più diligenti hanno imparato a diversificare cause e effetti (salvo poi ribaltare prospettive e sequenze), progettando sia panorami sintetici dall'impronta cinematica (fossi un regista, e non avendo a disposizione quel genio "nostrano" che è Teho Teardo, chiederei agli Aun di compormi l'original soundtrack), sia mirabolanti scie sonore dal moto imprevedibile. Non a caso i risultati raggiunti non sono dissimili da quelli espressi proprio in "Small Craft On A Milk Sea" di Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno. Ma nelle volte aurali sono anche altri discendenti del patriarca (o suoi coevi destrutturatori) a riecheggiare e a prendere forma: Boards Of Canada, Authecre, il David Sylvian più recente come quello gomito a gomito con Holger Czukay, Cocteau Twins, Fennesz, Cluster (ovviamente), addirittura Popol Vuh.

La visione sonora del duo canadese è piuttosto cangiante e dunque anche le fonti e le forme di ispirazione, con l'avanzare dei minuti, procedono in modalità "shapeshifting". Rimane garantita, qualora si scelga "Phantom Ghost" come colonna sonora di un viaggio (a piedi, ma anche in treno o in macchina), una sessione di ascolto pregna di grandi emozioni, specialmente se al mattino permane una certa predisposizione onirica. Non un album per ogni occasione o per ogni stato d'animo, dunque, ma un album degno di essere annoverato tra gli esperimenti più suggestivi di elettronica che il nuovo millennio ci ha finora portato.