R Recensione

8/10

Autechre

Quaristice

L’IDM, Intelligent Dance Music, doveva essere, nelle intenzioni dei suoi fautori, se non una rivoluzione, almeno una ribellione pacifica all’interno di quel monolite multiforme che era l’electronica. Si era alla fine degli anni Ottanta e i tempi erano maturi per lo scossone che, nel suo propagarsi, originerà una serie di spinte all’aggregazione ovvero alla disgregazione rispetto ad un centro ideale costituito da techno, house, e in genere da tutti i sottogeneri di electronica da ballare, ma poco “intelligenti”, almeno nell’opinione dei profeti dell’IDM.

Il loro intento era quello di creare una non-musica, fatta di bit digitali allo stato puro che si trasformano in onde sonore: loop mutilati, cut-up, sedimenti, residui di suono. Ritmo che non c’è più e che al proprio posto ha lasciato brevi ticchettii e balbettii afasici, che aumentano e diminuiscono di  frequenza secondo un’apparente assoluta casualità. Vennero persino creati software appositi per comporre questo tipo di non-musica, sorta di fusione tra la rave-dance e la chillout che si poteva ascoltare nelle lounge dei locali di lusso per clienti vip, sprofondati nelle poltrone in pelle, tra marmi, specchi e aria climatizzata.

A marcare ulteriormente la linea di confine tra queste nuove tendenze dell’electronica arrivano, da una parte, successi discografici incontestabili nell’ambito delle varie derive dell’electronica da dancefloor, come “Pump Up the Jam: the Album” (1989) dei Technotronic. Dall’altra parte, un successo meno clamoroso, ma destinato ugualmente a lasciare il segno: la storica compilation “Artificial Intelligence” (1992) ad opera di una delle label che fece da centro nevralgico e propulsivo per il genere IDM: la Warp Records, la stessa, tra l’altro, per cui incidono gli Autechre. D’un colpo solo, grazie a questo cd, acquistano spessore, che durerà nel tempo, nomi come Aphex Twin, The Orb, Plastikman, Black Dog Productions, B12 e, naturalmente, Autechre.

Ed eccoli, gli Autechre, Sean Booth e Rob Brown, a distanza di un decennio o poco più, sempre ben saldi sul ponte di comando dell’elettronica in musica. Protesi agli esordi senza un grammo di esitazione verso il futuro della sperimentazione estrema, tanto da meritarsi de facto il ruolo guida nel gruppo degli "assemblatori" IDM, ci fanno oggi uno strano effetto. Tutti i loro compagni di avventure, infatti, hanno preso strade diverse, chi in direzione di una forma-canzone più tradizionalmente intesa, con il ricorso a vocalist, eresia per l’IDM canonico, chi recuperando le radici krautrock ancorate al DNA di ciascuno di questi sperimentatori. Gli Autechre, invece, sono rimasti fedeli a se stessi. Non si sono mossi di una virgola, rispetto a quei primi anni Novanta, chiusi in quel laboratorio di Ricerca & Sviluppo che è ogni loro nuovo lavoro. E tale atteggiamento, lungi dall’essere passibile di accuse di conservativismo, va colto invece come un importante segnale di coerenza, di approccio professionale nei confronti del creare artisticamente inteso.

Questa volta il laboratorio che gli Autechre hanno utilizzato per mettere insieme le venti tracce di “Quaristice”, il nuovo album dopo i tre anni trascorsi da “Untilted”, non sono gli asettici studi di registrazione o, al limite, i laptop appoggiati sulla scrivania dello studio nella tranquillità delle loro case di Manchester, ma le jam session dal vivo. Il risultato di questa nuova metodologia compositiva è una fondamentale differenza rispetto agli album precedenti, e cioè la durata dei brani: nessuno di essi supera i quattro minuti, per cui l’album appare come un campionario aggiornato di miniature soniche. Un campionario di ciò che, in sostanza, sono gli Autechre nel 2008.

L’album ha una struttura circolare: si apre e si conclude con due brani ambient: “Altibzz” e “Outh9X”. Racchiudendola tra queste due rilassate parentesi, gli Autechre presentano un’ampia gamma di suggestioni elettroniche. “The Plc” sono dei bit techno ridotti al grado zero, con dei loop in un senso e in quello contrario, come un nastro che si svolge e si riavvolge in modalità “play”. Da notare in questo brano l’utilizzo di voci campionate, novità di assoluto rilievo per gli Autechre. In “IO”, su un vortice ad alta velocità, vengono di nuovo innestate sembianze di voci umane. In “Plyphon” il ritmo cresce, o almeno così potrebbe sembrare, ma l’ascoltatore non si illuda: la non-musica degli Autechre non è fatta per compiacere l’orecchio con ritmi prevedibili e melodie rassicuranti. “Perlence” potrebbe essere la registrazione dei rimbalzi della pallina su un tavolo da ping pong, con sopra nebulizzati, nuovamente, frammenti di voci umane, millimetrici suoni di tastiera.

L’aria si raffredda, un senso d’ansia pervade l’intro di “SonDEremawe”, ma poi un tintinnio argenteo e delle tastiere sottili come spilli rasserenano, per alcuni secondi almeno. Il passaggio a “Simmm” è realizzato a planare, un brano sfocia nell’altro: rintocchi di campane gamelan, una melodia rarefatta, che arriva da lontano. Poi “paralel Suns” (scritto proprio così, con una sola elle!): moti di incommensurabili corpi celesti rimbombano in spazi infiniti, si rende quasi visibile una voragine siderale, che tutto fagocita nel suo ventre di spaventosa tenebra. Il punto forse più abissale del minimalismo sonico di “Quaristice” viene toccato in “Steels”: nient’altro che una battaglia cosmica da videogame, solo spari nello spazio, e poi via con le percussioni ipnotiche di “Tankakern”, e con il beat acido di “rale”.

All’improvviso ci ritroviamo sbalzati all’interno di uno di quei vagoni monorotaia che viaggiano a velocità impazzita sospesi nel vuoto in “Fol3”, trip virtuale che scarica adrenalina, una delle tracce più sorprendenti dell’album. Rabbiosi beat in “90101-5l-l”, di nuovo una probabile soundtrack da videogame in “bnc Castl”. Siamo qui nel nucleo più propriamente techno dell’album, dove le percussioni, scabre e taglienti come artigli, la fanno da padrone. Arriviamo a “chenc9”, che, con i suoi rintocchi sordi, preannuncia l’epilogo dell’opera. Le tastiere di “Notwo” sono cupe voci di un passato che forse non c’è stato mai, tutto svanisce e si consuma in immagini che il nostro nudo occhio fallisce di mettere a fuoco.

Ad ascolto terminato, subiamo il fascino sinistro e indecifrabile di “Quaristice”, che, nella sua scorbutica indisponibilità a farsi amare, dichiara invece, in filigrana, un’ascoltabilità contro ogni più pessimistica previsione. La chiave interpretativa dell’ultimo lavoro degli Autechre forse sta proprio in questo: riuscire a cogliere l’essenza di questi suoni alieni, meccanici, che si rivolgono al subconscio non all’udito. E qualunque sia il giudizio finale su quest’opera, un fatto è certo: dopo quindici anni di sperimentazione e nove album full length realizzati, Rob Brown e Sean Booth si prendono ancora il lusso di indicare a pubblico e colleghi i percorsi più innovativi per l’electronica.

V Voti

Voto degli utenti: 5,4/10 in media su 5 voti.
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REBBY 5/10
krikka 7/10
tttt 4/10

C Commenti

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loson alle 18:17 del 28 aprile 2008 ha scritto:

Carlo, la tua sontuosa recensione m'invoglia ad ascoltare questa nuova uscita Autechre che, ad essere sincero, finora ho un pò snobbato. Magari quel che ho letto in giro m'ha condizionato e son partito prevenuto... Però adesso mi ci metto seriamente.

Ciao e ancora complimenti!

simone coacci alle 18:43 del 28 aprile 2008 ha scritto:

Mitico Carlo!

Un pezzo da manuale, Uomo Macchina (mi perdoni se ti chiamo così? Mi piace troppo )! Non m'intendo molto di questo genere di musica quindi non metto becco sul giudizio finale. Complimenti, di cuore, proprio, in ogni caso.

DonJunio alle 0:18 del 29 aprile 2008 ha scritto:

Una recensione coi baffi

Questa elettronica post-umana non è proprio il mio genere, ma leggere dissertazioni così ben fatte è un piacere.

TheManMachine, autore, alle 16:22 del 29 aprile 2008 ha scritto:

Loson, Simone, DonJunio: grazie per i Vostri benevolentissimi commenti, da parte mia non meritati di certo! Loson: i giudizi critici su questi nuovi Autechre sono stati i più disparati: dalle stroncature irritate, alle lodi certamente sopra le righe, alla sufficienza-indifferenza. Io credo che la verità stia sempre nel mezzo, per cui dico che questo è un prodotto sicuramente apprezzabile, innovativo sia in relazione alla discografia degli Autechre, sia per tutto il genere electronica. Certo, se uno mette nel lettore questo cd aspettandosi di sentire, anche solo qua e là, del carezzevole trip hop con occhiate al pop, è meglio che lasci perdere in partenza... Simone: ma no, figurati, chiamami pure Uomo Macchina, piace molto anche a me, altrimenti non l'avrei scelto come nick! Solo che io ho pensato prima alla versione inglese, ma è uguale... per finire, forse dirò una cosa che sanno tutti, o magari a qualcuno potrà interessare sapere che Autechre si pronuncia /outèka:/ (non ho i simboli fonetici a disposizione sulla tastiera, comunque l'ultimo suono è lo schwa anglosasssone, come in "forever"). Grazie ancora a tutti che avete letto e leggerete magari questo mio modesto scritto. Ciao

GiudiceWoodcock alle 16:02 del 29 agosto 2008 ha scritto:

recensione interessante come chele di granchio serrate nelle mutande...

synth_charmer (ha votato 5 questo disco) alle 14:32 del 11 maggio 2010 ha scritto:

troppo spigoloso, come da tendenza dei 3 o 4 dischi che lo precedono. Qui però siamo molto sotto la loro media, e lo dico da aficionado. Ancora troppo carente la componente melodica, l'ascolto diventa così troppo duro.

TheManMachine, autore, alle 11:20 del 7 giugno 2010 ha scritto:

Carlo, la mia opinione è che tra tutte le componenti della musica degli Autechre, la melodia sia certamente una delle meno rilevanti. Chi cercasse la melodia nei dischi di questa band rischierebbe di restare deluso sette o otto volte su dieci, nella migliore delle ipotesi. Quando gli Autechre chiamano in causa la melodia, non è altro che per scomporla, frammentarla, destrutturarla. Negarla, alla fin fine. Questo è l'approccio che loro hanno da sempre, non da 3 o 4 dischi a questa parte. Insomma, se questo disco non ti è piaciuto non credo che ciò sia imputabile alla carenza di melodia, chè davvero non ce n'è mai stata molta nei dischi di questa band. Ma è chiaro che si tratta di punti di vista personali. Ciao.

synth_charmer (ha votato 5 questo disco) alle 12:10 del 7 giugno 2010 ha scritto:

RE:

Oh sì, siamo perfettamente d'accordo infatti gran parte della produzione Autechre non mi esalta. Era un discorso che facevo credo riguardo Fennesz, personalmente non amo l'elettronica in cui la componente melodica risulta troppo ridotta. Trovo che in questo modo la musica trasmetta poca emozione.