Bjork
Volta
C’è un aereo partito dall’Indonesia che sorvola l’atlantico diretto a New York. A bordo, una cantante islandese addormentata sogna, mentre ritorna a casa. Sogna un’ondata gigantesca, “uno tsunami di milioni e milioni di poveri”, che cresce sempre di più, si innalza più alta dell’aeroplano stesso, ma lo sorpassa lasciandolo incolume, per abbattersi invece sulla terra, radendo al suolo la Casa Bianca e distruggendo tutto quanto incontra.
Björk ha raccontato di essersi ispirata a questo sogno per il testo di “Earth Intruders”, primo singolo e canzone d’apertura di “Volta”, suo ultimo lavoro in studio, il settimo. Si capisce da qui già molto della novità portata da questo disco: il ritorno di Björk a temi più terreni, uno sguardo alla (sofferente) condizione umana, dopo la dimensione molto intima dei lavori precedenti, quasi provenienti da un altro pianeta come il particolarissimo “Medulla”. E più che nei testi la volontà di restare coi piedi per terra si traduce nelle scelte formali: “Volta” mescola elettronica con ritmi tribali e suoni di strumenti “sporchi”, come la Kora suonata da Toumani Diabete, la pipa di Min Xiao-Fen o il clavicordio.
Lo si potrebbe considerare un album di duetti, sia perché Björk duetta davvero con Antony Hegarty degli Antony And The Johnsons in “Dull Flame of Desire” e in “My Juvenile”, due dei momenti più riusciti del disco, sia perché anche questa volta sono molte le collaborazioni con musicisti sempre di varia nazionalità e provenienza musicale (oltre ai già citati si contano il gruppo Konono No1 dal Congo, un gruppo di fiati femminile islandese, il batterista Chris Corsano nonché Brian Chippendale dei Lightning Bolt), sia perché la co-produzione e firma dei brani è affidata in tre episodi al musicista e produttore americano Timbaland, artefice degli ultimi successi di un po’ tutti i big della hit-parade americana, da Nelly Furtado a Justin Timberlake.
Solo una mente sismica come quella di Björk poteva rinchiudere in un unico album tutto questo: e solo Björk ancora una volta poteva far risultate il tutto come un album indiscutibilmente ed unicamente suo.
Anche in “Volta” infatti la cantante islandese cerca il filo che congiunge il suono e l’emozione senza passare attraverso la ricerca della melodia a tutti i costi o i soliti trucchi da baraccone come l’alternanza del forte/piano o suoni e testi collaudati: e così, come per tutti gli ultimi album di Bjork, le canzoni assomigliano piuttosto a flussi di coscienza musicali, sperimentazioni rette unicamente, nella loro geniale, schizofrenica libertà, da un uso intenso della vocalità, che sovrasta la parte strumentale (“Wanderlust”, “Vertebrae by Vertebrae” e “Pneumonia” sembrano sgretolarsi e non significare più nulla se le si prova ad immaginare senza voce).
Tuttavia dopo un po’ si nota che i momenti in cui questa sua ricerca musicale viene espressa al meglio (“Earth Intruders”, canzone geniale, caotica eppure meravigliosamente lineare, “Hope”, i due duetti con Antony ) risultano anche essere quelli più “accessibili”.
Forse stavolta la sperimentazione non ha raggiunto livelli altissimi perché l’oggetto dell’osservazione – la condizione umana, specialmente quella attuale, contemporanea – si è rivelato completamente insondabile, irraggiungibile. Il folletto islandese è sembrato più a suo agio con altri album, nella descrizione delle sensazioni perfette, degli attimi di emozione pura, della poesia delle piccole cose: la tragedia della condizione umana è un argomento troppo grossolano e incomprensibile per una sensibilità così sviluppata, e che ha trascorso così tanto tempo in più alte riflessioni.
C’è poi da rimarcare che certi episodi del disco sono meno riusciti (“Declare Independence”), e il fatto che Björk pare non convincere del tutto nel trattare certe reali, drammatiche tematiche nei testi, come nel caso della donna incinta-kamikaze (“Hope”), ispirato ad un fatto di cronaca vero.
Forse anche la stessa Björk si è accorta durante la lavorazione di questo disco che la sua ambizione si è spinta troppo oltre, ed ha voluto presentarci queste dieci tracce come sensazioni abbozzate, avvolte in una perenne nebbia nella quale ci si muove seguendo il suono delle sirene delle navi che qua e là si sentono in apertura o chiusura di alcuni brani.
E comunque anche stavolta, qua e là, in mezzo alla nebbia, si scorge visibile la raffinatezza di un’artista comunque geniale ed irraggiungibile.
Tweet