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R Recensione

5/10

Centrozoon

Boner

Da oltre un decennio i Centrozoon ci incantano costruendo panorami artificiali per il cuore e per il cervello, convertendo algide architetture elettroniche in strutture portanti emozionali. Una opera di riqualificazione organica possibile in virtù del fatto che gli artefici del progetto non sono solo dei fini ingegneri del suono ma, prima di ogni altra cosa, degli abili strumentisti. È un incontro di menti la loro unione. Markus Reuter, virtuoso di quello strumento dal nome “touch guitar” da lui concepito, è uno dei più poliedrici estri creativi attivi in Germania dall’inizio degli Anni 2000: figlio musicale della “scuola di Robert Fripp”, ha preso parte a innumerevoli “avventure in hi-fi” – in tempi recenti l’abbiamo visto coinvolto nei Tuner (con Pat Mastellotto) e negli Stick Men di Tony Levin (nei quali spesso reinterpreta arpeggi e riff Crimsoniani) – e a tutta una serie di iniziative che hanno le loro radici nella ricerca di sonorità elettroniche che sappiano far librare nell’aria rami e frutti antitetici ad ogni convenzionalità. Bernhard Wostheinrich invece, in modo più disciplinato, elabora il flusso musicale attraverso synth e programmazioni. Per questo nuovo episodio discografico, il duo si è fatto trio, incorporando nel suo organico un altro destrutturatore sonoro, Tobias Reber (field recordings, programmazioni elettroniche, synth).  

Per quanto riguarda le evoluzioni che la formazione ha sempre saputo proporre nel corso della propria discografia, ad ogni capitolo ho sempre potuto constatare, con stupore ma anche con disorientamento, di trovarmi di fronte ad a geometrie industriali autorigeneranti, in grado di produrre orizzonti affascinanti che si trasformano in continuazione, molto prima che la mente possa pensare di aver colto il loro filo logico. E così anche questo “Boner” non si pone né come la continuazione di quella “elettronica da camera” ideata nel precedente “Lovefield” (2007), né di quella cattedrale gotica del 21° secolo che ha rappresentato “Angel Liquor“(2006); distante anni luce dalle suadenti atmosfere elettro-pop del capolavoro “Never trust the way you are” (del 2005, a cui Tim Bowness prestava voce e anima), “Boner” è essenzialmente un enigma. Un enigma popolato da rumorismi degni di una sala operatoria di micro-chirurgia, increspato da disarticolati “taglia e incolla”, innervato da pulsazioni che non vogliono diventare ritmi: in esso si rincorrono incoerentemente apatie, afasie, ambientazioni, distorsioni, dialoghi frammentari, concitate field recordings, schegge di idee, inspirazioni, espirazioni, essudazioni. Così vuole mostrarsi il nuovo, e a lungo atteso, album dei Centrozoon: lunghissime ore di registrazione esito dei più disparati esperimenti musicali, assemblate e distillate in un unico contenitore. Nessun fuoco compositivo anima le tracce che costituiscono “Boner”. Questa è “musica da laboratorio”, realizzata con camice bianco e mascherine. Con il medesimo approccio i Centrozoon hanno affrontato il tour “We Will Tongue You 2011/2012” che ha preceduto la pubblicazione del lavoro, portando in scena il loro opificio sonoro.

Gli autori dei missaggi sono dei fan che si sono iscritti all’apposito contest proposto lo scorso anno sul sito della band. I vincitori sono stati due, Marziano Fontana e Adrian Benavides e pertanto “Boner” è stato realizzato in una duplice versione. Quella oggetto di questa recensione è quella realizzata da Fontana, ma da quello che ho potuto ascoltare i “prescelti” non hanno perseguito letture particolarmente distanti da quelle che erano le intenzioni dei Centrozoon, stavolta incredibilmente vicine a quelle degli Autechre.

È con profondo dispiacere dovere accogliere un’opera tanto attesa con il cuore raffreddato dalla musica in esso raccolta. “Boner”, per quanto denso di sfide, alla fine risulta essere inefficace tanto nel comunicare emozioni, quanto nel definire le dinamiche del processo artistico degli attuali Centrozoon. E, in uno sforzo di sintesi, mi verrebbe di considerarlo semplicemente come un album inespressivo.

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