R Recensione

8/10

David Sylvian

Blemish

l tormento di "Blemish" non è casuale. Un continuo contrasto tra forma e contenuto, un lento susseguirsi di quiete e angoscia, un grido silenzioso che irrompe assoluto e inaspettato. Non era ciò che mi aspettavo e ho impiegato quasi un anno per capire ed apprezzare. David ha spiazzato tutti ancora una volta scegliendo la via più difficile, più intima, più personale per comunicare il suo profondo disagio interiore. "cado al di fuori di lei, ma lei non se ne accorge", così inizia il breve viaggio nella cupa foresta di "blemish", un viaggio in solitudine attraverso luci ed ombre della mente. E' un percorso tortuoso in cui si incontrano esperienze forti: la separazione, l'ego, il desiderio, la meditazione ma anche la pace interiore, la felicità e la speranza. Il suono è freddo, elettrico, meccanico, mai umano nemmeno quando Derek Bailey fornisce il suo prezioso contributo intessendo i suoi intrecci chitarristici atonali.

Le melodie sono agrodolci.

Blemish è senza dubbio la sublimazione dell'arte del contrasto, la trasposizione in musica del concetto orientale di Yin e Yang. Decido di riascoltarlo. E’un disco emozionante dall’inizio alla fine.

La title track, “Blemish”, mette subito in chiaro che non ci si trova dinnanzi al seguito di “Dead bees on a cake” come forse molti avrebbero sperato. Le tessiture armoniche sono glaciali e ripetitive, il panorama sonoro ospita suoni deformi che si evolvono costantemente e il cantato di David è un vero e proprio racconto, quasi a voler subito scoprire le carte: “ecco, molte cose sono cambiate e questo è il mio modo di raccontarlo in musica”.

Il viaggio continua e incontriamo la prima delle tre sperimentazioni presenti nell’album, nate dal profondo amore che Sylvian nutre nei confronti della musica di Derek Bailey, chitarrista free-jazz recentemente scomparso. La leggenda narra che i due non si siano mai incontrati in studio e nemmeno abbiano mai discusso del progetto. Il risultato è difficilmente comprensibile per chi, come me, ragiona ancora per schemi musicali classici ma certamente il risultato è di grande fascino estetico.

Qualcosa di simile, con un sapore un po’ meno sperimentale, era già stato realizzato nei “Dobro”.

The only daughter” riprende i concetti musicali e lirici di “Blemish” e precede il primo indiscutibile capolavoro dell’album. David si siede nella posizione del loto, chiude gli occhi e trascina l’ascoltatore in un’esperienza meditativa profonda. Se “Orpheus” è considerato il suo brano più bello, “The Heart Knows Better” è senza dubbio il momento più profondo e intimo della sua produzione: la mente divide ma il cuore conosce la verità. Un suono ritmato, sembrano le corde di un pianoforte percosse dal legno, accompagna il cantato profondo e ispirato. “Nothing really matters in the end”.

Dopo la breve “She is not”, secondo esperimento in collaborazione col chitarrista Derek Bailey, incominciano le sequenze elettroniche e gli scricchiolii sonori di “Late night shopping” seconda perla dell’album. Un momento di saggia riflessione: “Non abbiamo bisogno di avere bisogno di qualcosa” ripete il testo. Improvvisamente ho la sensazione che la sua scelta di andare a vivere negli Stati Uniti abbia generato un tormento interiore non indifferente.

Queste liriche sembrano confermarlo.

Mi tornano in mente gli anni di “Brilliant trees” e della negazione del ruolo da “Popstar” che il successo e il pubblico gli avevano attribuito.

Riascoltate “Red guitar”.

E’ il momento del terzo brano firmato a quattro mani da Sylvian e Bailey. Probabilmente il più estremo dei tre ma proprio per questo anche il più affascinante.

Poi, improvvisamente, tutto cambia.

Le atmosfere fredde ed elettroniche sembrano lentamente svanire, riaffiorano l’armonia dei suoni e le melodie dal sapore nostalgico che riportano ai tempi di “Secrets of the beehive”.

A fire in the forest

Un passo indietro.

La mente vaga fino a tornare col ricordo ai tempi della gioventù e della spensieratezza, i sobborghi di Londra, ”un penny per i tuoi segreti”, ma poi torna prepotentemente al presente, alla ricerca di un pò di quella calda e rassicurante luce del sole che si trova da qualche parte lassù oltre le nubi scure.

Inevitabilmente mi torna in mente il concerto di Roma, Ottobre 2003. Momenti di emozione assoluta: una voce di donna che ripete meccanicamente la frase "love will not die" ponendo fine all'esecuzione dell'intero Blemish ed introducendo il ritorno alle origini con la versione acustica di "The other side of life".

Una svolta, l’ennesima, nella vita e nell’arte di David Sylvian.

"...like blemishes upon the skin, truth sets in."

V Voti

Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 7 voti.
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REBBY 6/10

C Commenti

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Holzwege (ha votato 9 questo disco) alle 10:07 del 17 dicembre 2007 ha scritto:

Ottima recensione...l'impressione di spaesamento che si prova al primo ascolto è veritiera. "Blemish", la title track, è un ostacolo da superare: il rischio è quello di smarrirsi tra i riflessi e riverberi dei suoni, quasi sempre uguali e sfingei. Unica guida la voce di David...La forma canzone è disciolta, sino a dilatarsi ( la percezione è simile a quella che si prova dinanzi alle estasi metacroniche del Buckley di Lorca ): il tempo è soppresso; o meglio assunto nella sua inesorabile ciclicità...Uniche ancore di salvezza sono le brevi melodie di cui è costellato il lavoro: "Late Night Shopping"...sostenuta solo dal battito delle mani e "A Fire in the Forest"...commiato e raggio di sole...che si perde nell'abbagliante riflesso della neve ( l'artworking è quanto di + eloquente...visualizza al meglio ciò che i landscapes vogliono suggerire )...Lavoro encomiabile, che purtroppo non ha avuto un degno seguito nella produzione di Sylvian

p.s. un ascolto, non fugace, va riservato anche all'album di remixes "The Good Son vs The Only Daughter": dove paradossalmente alcune tracce assumono un aspetto più "umano"...