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R Recensione

7/10

Dilatazione

The Importance Of Maracas In The Modern Age

Disco giocattolo. Sarà perché non c’è rimasto più niente da ridere (a questi ritmi, fra breve ci verrà inibita anche la facoltà di piangere), ma è un concetto che dalle serigrafie dello Stivale sta sparendo a ritmo crescente. Nessuna voglia di concentrarsi sulla musica in quanto tale, se non per condirla di animose riflessioni filosofiche, tragicomici alambicchi di seriosità da Bagaglino e catastrofiche predizioni di prossimi sfasci sociopolitici. L’Italia prostrata che guarda sé stessa prostrandosi ancor di più, insomma. O la paura, in ogni caso, di fallire nel tentativo estremo di cazzeggiare con giudizio: qualcosa che difficilmente si può costruire in studio, senza una predisposizione naturale che orienti l’umorismo, il sarcasmo, la dissacrazione nell’intrattenimento attivo e nelle sberle fatte passare per analgesici. Un po’ quello che faceva zio Frank, seppur su scala follemente ridotta. Paragone che, tra l’altro, torna sempre utile nel caso si debba trovarsi di fronte gruppi indubbiamente molesti ma ben preparati tecnicamente: in questa sede, non siamo direttamente noi ad infilare il quintetto pratese dei Dilatazione nel calderone, bensì loro stessi che, per parlare dell’ultima fatica “The Importance Of Maracas In The Modern Age” (aridaje), aldilà degli schemi di collaborazioni e contro-esperienze, lo definiscono letteralmente “un bric-brac alla Zappa suonato da un gruppo di punkettari”.

Per una volta, togliamoci lo sfizio: questo è un lavoro importante, inciso da una band importante. Non scherziamo. Al contrario dei toscanacci irriverenti, che fanno un bel repulisti di tutto il dileggio accomodante e fatiscente e picchiano pesante, costruendo nel frattempo un’interessante quanto (troppo?) ardita mappatura musicale, sciolta da vincoli e nepotismi vari. Lasciamo all’ascoltatore il compito di individuare, con maggior precisione, quale percentuale di ironia sia effettivamente disciolta in siffatto miscuglio electro-funk-ragga-acoustic-prog. Appunto: che l’ascolto non sia dei più facili lo si capisce immediatamente, dalle prime battute di “Dividing Goblins”, astruso math sintetico sulle scie dei Tortoise, con uno spettrale Samuel Katarro sullo sfondo a fare il semipapero più visionario dell’attuale panorama italiano. La botta, per essere all’inizio, è forte. Eppure il tipo di straniamento che genera non reca fastidio, tutt’altro: complice anche una percezione generale di lo-fi professionale (e l’ossimoro, qui, calza a pennello), di brani estremamente curati ma ad un primo sguardo miracolosamente tenuti in piedi con lo spago, di estetica casareccia de noantri ricoperta da un doppio strato di isolante esterofilo, ogni difficoltà incontrata è uno stimolo per continuare a decodificare l’imponente mole di input inviati dalle tessiture vocoderizzate di “Don’t Make That Joint” o dalla girandola jungle di “Cam Merton”, i Battles a spasso per la savana.

Eccolo, il vero divertimento. Spaziare tra generi senza affaticarsi, né citare morbosamente, né tantomeno ridursi a macchiette prive di profondità intellettuale. Così “The Importance Of Maracas In The Modern Age” è un disco vecchio stampo, da ascoltare con attenzione. Anche in questa maniera, all’ombra dello svettante campanile eretto all’usa e getta, si fa politica. Più accentuata ed estroflessa in alcuni passaggi, come nella scorribanda di “Bettino Krauti”, sulla quale aleggia un afrore jazzato in salsa teutonica, ma sempre e comunque sottesa. La completa libertà permette alla band di ribattere colpo su colpo ai frangenti in cui la frittata appare alquanto indi(e)gesta (il synth rock noir e conturbante “Once We Were Truzzi - E-Doser Makes Me Sick”, il clarinetto di “Objects In Mirrors Are Closer Than They Appear” inserito su base doo-wop e muraglie di samples cinematografici) con proiettili di calibro notevole, come il tex-mex acustico di morriconiana memoria “Exit Music (For A Western)” e il reggae d’altro globo di “West Germany 1974 - South Africa 2010”, chiusa da un flusso di segmenti telecronistici no stop: un Paese nel pallone?

Chissefrega: allora come ora, andò di merda.

 

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