R Recensione

8/10

Excepter

Debt Dept.

È dal 2003 che la band guidata da John Fell Ryan (già membro della famigerata No-Neck Blues Band) escogita nuove modalità per solleticarci i sensi con album electro-noise (passatemela su…) quasi sempre pregevoli e, in alcuni casi, vagamente tediosi. Il fenomenale “Alternation” (5RC, 2006) era disco sdrucciolevole, restio a concedersi, di quasi asfissiante opacità. Eppure liberava ossigeno, nonostante – o forse proprio per – l’apparente immobilismo del beat, le coeve paludi dub, i “krautismi” malcelati, le incrostazioni noise. Un soundsystem post-industriale che avvicinava idealmente la Giamaica “fai-da-te” di Lee “Scratch” Perry alla grigia Sheffield dei Cabaret Voltaire. Inutile rimarcarne l’importanza, in tempi agri come questi (ma sarà poi vero?).

Lontano dagli integralismi industriali del passato, con “Debt Dept.” il sestetto di Brooklyn fa di nuovo centro. Di più, forse azzecca il capolavoro: nove “canzoni di protesta” (così le definiscono loro) di destrutturazione controllata, melodie lasciate a liquefarsi in pulsazioni marziali vagamente house su cui innestare ogni genere di artifizio o illusione prospettica. Trame minimali eppure sature d’inventio, oggi ancor più ricche di cancerosità elettronica, tastiere assassine, tribalismi percussivi e “found sounds”. Scheletri pop disciolti nell’acido. E poi gli incastri delle voci, da sempre uno dei pallini del gruppo: due maschietti e due femminucce a spartirsi solipsismi narcotici, biascichii alla Tricky e vocalizzi muezzin in stile John Lyndon. Voci fantasma tagliuzzate e rincollate fra loro secondo logiche aliene (“The Last Dance”, “Sunrise”), non di rado alterate di timbro e velocità (possibile retaggio dell’ “hardcore-techno” britannica? Nei dischi precedenti non ve n’è traccia…).

Ecco, detta così parrebbe un pasticcio senza capo né coda, ma la verità è che “Debt Dept.” coinvolge, diverte e funziona a meraviglia. Ascoltandolo tutto d’un fiato, si ha la sensazione che l’estasi maligna di “KA” (l’esordio datato 2003) abbia finalmente conquistato quella dimensione groovy e “glamourosa” con cui “Alternation” aveva iniziato a flirtare. E ciò è ancor più strano se si tiene presente il taglio cupo e vagamente (fintamente?) fanta-politico dell’intero lavoro.

“These are the music makers and the dreamers of dreams”, avverte il blog degli Excepter su MySpace, prima di passare alla teorizzazione di una new society dalla pressochè indecifrabile struttura piramidale. Nobile tentativo di filantropia o delirio post-rave imbevuto di retorica agit-prop? Francamente me ne infischio, signori: qua dentro c’è vera arte (a meno che ipotizzare un connubio convincente fra Afrika Bambaataa, Cluster e Virgin Prunes venga considerato robetta).

Sono tanti i momenti killer di “Debt Dept.”: la lenta mummificazione di “Entrance”, il cut’n’paste psicotico di “Any And Every”, o l’irresistibile singolo “Kill People”, schiacciasassi di parossismo pop-art (i Faust immolati sull’altare della dance music, in pratica). Ma poi i momenti clou, dove li mettiamo? Come a 2:40 di “Greenhouse/Stretch”, quando fra le pareti mollicce dei synth irrompe per una ventina di secondi la controfigura bionda di Buffy Sainte-Marie (ossia la cantante Clare Amory) con la chitarra acustica in mano, catapultata di forza in un inferno di ghiaccio e chiasso metallurgico. O quando, al termine di “Burgers”,  allucinazione benigna di carillon guidata da una linea di Roland TB-303 vagamente acid house, emerge un sample di Stevie Wonder condannato a disgregarsi fra le fiamme dell’inferno.

“Debt Dept.”: il sound una civiltà che si ripiega su se stessa. La “bagarre” cultural-sociale immaginata da Sly Stone che s’affossa in discarica. Un requiem tutto da ballare o durante il quale “stonarsi”. Un lavoro denso, come pochi attualmente in circolazione. Musica “concentrata” e dilatata” ad un tempo, epitome di un disturbo percettivo di cui, una volta tanto, è piacevole soffrire. Scienza del suono. Entropia. Un 8 tondo tondo, a conti fatti.

E gli Excepter? Beh, loro sono “soltanto” uno dei gruppi fondamentali di questo decennio. Speriamo che qualcuno, al di là degli “addetti ai lavori” (scusate il termine orripilante), se ne accorga.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 11 voti.
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Cas 6/10
rael 5/10
REBBY 9/10
krikka 8/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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SteveRogers (ha votato 5 questo disco) alle 16:50 del 30 giugno 2008 ha scritto:

Scusate il parere...

Forse il loro non è il mio genere... ma il loro disco non mi ha appassionato più di tanto. Sarò fuori dal coro e mi scuso per questo... ma non capisco perchè gli Excepter dovrebbero essere uno dei gruppi fondamentali del decennio.

loson, autore, alle 23:17 del 30 giugno 2008 ha scritto:

L'ho spiegato nella recensione. Comunque sei liberissimo di non essere d'accordo con le mie valutazioni.

Mr. Wave alle 0:34 del primo luglio 2008 ha scritto:

il disco non lo conosco, ma confido serenamente nelle tue valutazioni, prendendo nota dell'album in questione, senza dimenticare di farti i complimenti per la stesura della recensione e per impeccabile (come sempre) lavoro di analisi. Complimenti Matteo

Henry Trave (ha votato 8 questo disco) alle 14:13 del 24 luglio 2008 ha scritto:

gran bel disco e complimenti per la recensione veramente azzeccata!

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 10:54 del 3 settembre 2008 ha scritto:

Sento anch'io echi di PIL, Virgin prunes e Cabaret

Voltaire e la cosa (in particolare per i primi 2)

non può che farmi piacere. In questo momento è

uno degli album più interessanti che ascolto nei

miei momenti di solitudine notturna. Mi riservo

ulteriori ascolti prima di emettere il voto, penso

molto alto.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 8:19 del 12 settembre 2008 ha scritto:

Probabilmente il mio disco asociale dell'anno,