R Recensione

8/10

Mammooth

Back In Gum Palace

A volte la sfuggevolezza nella catalogazione di percorso sonoro, l’incapacità di individuare il sentiero sulla mappa getta il recensore in uno stato di sconforto, quasi che fosse più importante il suo lavoro rispetto quello al quale si accosta, dapprima come ascoltatore e solo in un secondo momento come divulgatore. Ma l’ego ne esce ferito. Invece se la sua fosse una vera passione musicale, dovrebbe pienamente gioirne.

Così io mi sono ripiegato in questo “Back In Gum Palace”, senza sentirmi in obbligo di individuare le orme di questo originalissimo (e va bene, diciamolo) gruppo romano, lontano dagli standard (stereotipi) di tanta musica indie-rock italiana che molto spesso va a parare dietro sempre gli stessi fantasmi del recente passato (Afterhours, Marlene Kuntz). E senza il bisogno di passare al setaccio gli escrementi di questo Mammooth, per comprendere nei dettagli di cosa si sia nutrito. Basta aver capito che quella dei Mammooth è una amalgama che frantuma secondo dopo secondo la materia della quale si sono costituite band di kraut-rock, new-wave, progressive, elettronica, pop: una viva amalgama fluida per nulla timida nell’apparire fruibile, poiché certa della propria complessità intrinseca.

Tutto scorre, ma tutto scorre graffiando, mi verrebbe da dire. In passato (e non voglio necessariamente trovare uno stretto parallelismo musicale), avevo provato analoghe sensazioni con il complicated-pop di “The Day Before The Day” (2003) degli anconetani Yuppie Flu o con il sublime compendio ideologico di “Neon Golden” dei Notwist. Insomma siamo nel laboratorio dove sostanze pesanti precipitano, dove il DNA della viva sostanza musicale viene scomposto e riassemblato e nel quale hanno accesso eminentissimi genetisti pazzi del calibro degli Archive, dei Tarwater o di Trent Reznor.

Per ritornare a noi, anzi a loro, ai Mammooth, basta partire dallo strumentale Key 6  per palesare di cosa stiamo parlando, di come la capacità di sintesi non coincida con la ricerca solo di una summa, ma di un quid sonoro inedito in grado fare da enzima per delicate e pericolose reazioni chimiche. Allo stesso modo brevi trattati di chimica di sintesi come Sketches Of A Personal War, What A Mess, Vincent o  Actually I Don’t Understand This sanno diventare paradossalmente dei capolavori minimi di poesia. Pesante (e pensante) soavità, passatemi l’ossimoro.

Gli artefici di tutto ciò (Riccardo Bertini alla voce e alle chitarre, Fabio Sabatini alle tastiere, Roberto Mastrantonio alle chitarre, Joy Angelini al basso e Luca Marinacci alla batteria) sapranno, nel prossimo futuro, farsi da catalizzatori per ancora molti altri esperimenti di scientifica arte.

www.myspace.com/mammooth http://www.mammooth.net/ www.forwardmusicitaly.com www.forwardstudios.it  

 

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 7 voti.
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Teo 8/10
target 6/10
REBBY 7/10
Lars 10/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 17:15 del 15 febbraio 2010 ha scritto:

Tra i dischi italiani del 2009 che ho ascoltato

questo è il mio preferito. Almeno gli "italiofili"

presenti nel sito non se lo perdano eh. Davvero un ottimo consiglio Stefano. Vincent è splendida, ma c'è dell'altro. Siamo agli inizi, il CD ho

cominciato ad ascoltarlo nel weekend, ma sono già

convinto che quest'esordio non soffra di complessi

d'inferiorità rispetto alla produzione d'otralpe e d'oltreoceano.