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R Recensione

6,5/10

Soley

We Sink

Pochi elementi che non ci offrono nulla di nuovo, se non la consapevolezza di trovarci davanti ad una ragazza dalla voce rassicurante. Lo strumento è al quanto limpido. Poche alterazioni. Diversi esercizi vocali, seppur senza eccessivi fronzoli.

Soley Stefánsdóttir viene dall'Islanda, ma a differenza dei più celebri colleghi sembrerebbe aver scelto di dare un taglio al cordone ombellicale con la terra natia per sperimentare qualcosa di più classico. A partire dalla voce: nessuna lingua inventata, nessun brano cantato nel proprio idioma dunque.

Anche le sonorità sono al quanto rassicuranti. Per lo più ci troviamo di fronte a ballad la cui trama musicale viaggia tra note di pianoforte e intrecci vocali, ma anche attraverso leggeri campionamenti elettronici che sembrano volerci rassicurare sull'intento dell'islandese di voler arricchire l'album con sonorità poco convenzionali, ma ancora una volta si insiste con le innumerevoli ballate che quasi volutamente vogliono assumere un clima cupo e introspettivo (Blue Leaves).

Testi? Viaggiamo nel mondo di una ragazzina diventata ormai adulta, divisa tra i sogni del passato e la consapevolezza di aver perso qualcosa, o comunque la paura di perdere qualche traccia col passare del tempo (“sarai ancora mio amico nei miei sogni?”).

Brani come Bad Dream sembrano rimarcare sul passato. La voce viene coperta con un velo teso, rigido. Viene imposto all'ascoltatore. Le sonorità sono nervose, inquiete. Così come la voce, arricchita di vibrati e suoni, non composti da strumenti classici; sembrano per lo più oggetti trovati in natura e fatti diventare vivi, indossando un'anima mai vista prima (Pretty Face).

Improvvisa balli volteggiando con indosso un abito luminoso, tamburello alla mano e un occhio rivolto al cielo a vedere ciò che capita appena un palmo sopra le nuvole (Dance). Diventa capricciosa poi in About Your Funeral. Nessun tema lugubre dunque, in controtendenza con il titolo si respira quasi un clima di festa.

Ci si appesantisce in And Leave. Cupo l'organo, cupa la voce. Filtrata.

Soley non ci inganna con la storia della ragazza adolescente ormai adulta. Forse perchè non ci si riesce a togliere dalla testa l'immagine di lei vista come una “fairy girl”. E questo ce lo suggerisce anche la strumentale Fight Them Soft. La immaginiamo in visioni astratti, in boschi intenta a cercare l'ultimo raggio di sole fuoriuscire da dietro l'orizzonte, intenta a rimandare il fare ordine nella sua testa. Ora è troppo presto, ci penserà dopo a crescere. O forse lo ha già fatto e vuole trovare un modo per ritornare indietro. Forse nei suoi sogni.

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C Commenti

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Jacopo Santoro (ha votato 7,5 questo disco) alle 6:05 del primo marzo 2014 ha scritto:

Disco assai sottovalutato. "I'll Drown" è una perla e tutto il resto ha tanto di meraviglioso. Che voce soave... e che ballate...