R Recensione

7/10

Spleenveil

Colours Of Her

Urgenza espressiva e fine, sinuosa ricerca nell’arte compositiva. Importante il quadro d’insieme, quanto i minimi dettagli stratificati che, di ascolto in ascolto, si rivelano ai sensi. Questo il delicato equilibrio perseguito dagli Spleenveil: Colours Of Her, si propone come lavoro di sintesi dei loro orizzonti musicali e, allo stesso tempo, come ponte verso una sponda lontana e non ancora del tutto chiara e sicura. Punto di arrivo e punto di partenza. Roberta e Al, le due anime incrociate degli Spleenveil, navigano in mari reminiscenti delle esperienze e degli appunti di viaggio di Tricky, Massive Attack, Fennesz, Transglobal Undergound, degli italiani Almamegretta e, forse prima di tutti, Ustmamò, seminale band guidata da Mara Redeghieri.

Trip-hop all’italiana, verrebbe da dire, se solo non si corresse il rischio di essere estremamente riduttivi. Senza raggiungere i vertici dolenti dell’immaginario Bristoliano, incastonato fra strapiombi di paranoia e radure di strisciante tristezza, gli Speenveil rivisitano questo suono conducendolo verso lidi di inquietudine, meno introversi e claustrofobici, aprendo le finestre chiuse di stanze dalle atmosfere rarefatte, facendo circolare liberamente la melodia. Non c’é impedimento, contrasto all’armonia: non vengono creati strategicamente dei rumorismi ad hoc in opposizione al libero scambio delle idee (cosa questa invece insita nella musica dei Massive Attack, mai troppo tesa ad assecondare la fluidità).

Questo non vuol dire che le situazioni qui siano più “facili”: si tratta solo di un approccio differente che porta a produrre anche un potenziale “hit” come Fuori dal perimetro (non caso cantata in madrelingua). Generalmente l’elettronica degli Spleenveil rifinisce il la cornice, non incide profondamente la tela per introdurre un nuovo elemento, certamente di disturbo, ma anche intrinsecamente artistico. O almeno ciò avviene solo nella fondamentale Tunguska. Sicuramente lungo è il cammino che aspetta gli Spleenveil: al momento la loro arte è consistente e la volontà è solida.

Se, come hanno fatto fino ad ora, il senso del viaggio verrà a corrispondere con il senso del mutamento e non con il raggiungimento di un punto panoramico, allora molte saranno le soprese ad attenderli, ad attenderci. Il disco scorre, in omogeneità di suoni, attraversando le derive ascensionali di Earthquake, le poderose visioni sperimentali di Tunguska (come già detto, tra le cose migliori dell’album), la crepuscolare ipnosi di Doorway, spingendosi fino all’oscura alchimia di Intimacy (altro brano cardinale, che pare richiamare alla mente alcuni episodi dell’esperimento Bastian Contrario di Ivana Gatti e Gianni Maroccolo).

Ecco Intimacy rappresenta, a mio avviso, un punto prospettico in grado di gettare, sin da ora, nuova luce sulla strada da compiere. Neppure mi sentirei di trascurare i quattro (brevi) brani strumentali presenti in Colours Of Her: non semplici frammenti di raccordo, anzi in essi si denota una capacità di indagare con grande desiderio territori ambient progettando nuove architetture. Anche questa è una strada che, se percorsa con coerenza, potrebbe portare a sviluppi interessanti. Probabilmente c’é ancora da lavorare sulle voci che a volte non appaiono perfettamente integrate al tessuto sonoro, mentre invece la voce deve essere, al pari dell’oceano di suoni, una trama che deve essere cucita, a costo di fare uscire molto sangue, nella pelle stessa della materia musicale. Mentre Colours Of Her corre nelle vene e nella testa, non posso fare a meno di notare la valenza visiva della sua musica.

Le suggestioni filmiche si affastellano e inducono concretamente a credere che, se ingaggiati dal giusto regista, gli Spleenveil saprebbero realizzare colonne sonore davvero suggestive.

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