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R Recensione

7,5/10

Tempelhof

Frozen Dancers

Tempelhof è un quartiere meridionale di Berlino nonché uno scalo aeroportuale cittadino ormai dismesso. E la metafora dell’aeroporto desolato è perfetta per sintetizzare il sound di questo duo mantovano formato nel 2007 da Luciano Ermondi e Paolo Mazzacani che si occupa di musica elettronica. Dopo il debutto di “We were not there for the beginning, we won’t be there for the end” (2009) i Tempelhof sono tornati alle stampe nel 2013 con questo “Frozen dancers”, un lavoro che ricorda moltissimo l’epopea techno di Jeff Mills e le fredde ascensioni dei Port-Royal, un CD che anzi si offre come un concentrato di suoni digitali in avaria, distillando post-rock ed elettronica da ballo. Vecchi sintetizzatori analogici e moderne tecnologie formano un’opera gelida ed ancestrale, pur restando evocativa e sognante. “Frozen dancers” è la colonna sonora di pupazzi di neve modellati sulla pista di Tempelhof da bambini annoiati dalla periferia dopo la caduta del Muro.

Il disco parte da “Drake”, un singolo da manuale, interamente costruito su un climax di suoni elettronici in addizione: pad, 2° pad, synth, percussioni, basso, 2° synth, drums, FX, 2° percussioni, e poi via in sottrazione uno alla volta. Ma è con “Monday is black” che si entra davvero nel vivo del sound tempelhoffiano, grazie ad una sezione ritmica uptempo di grande impatto, ad una chitarra appena accennata e ad una breve ripetizione canora col giusto effetto vocale. “Change” riporta la mente del clubber ai fasti techno dei primi anni Novanta quando la techno music non era quell’intruglio aggressivo e rumoroso di oggi; bellissimi giochi di incastri sintetici rendono questo pezzo prelibato per i palati fini del genere. “Nothing on the horizon” torna alle trame lente e dilatate di “Drake” evolvendole in un esperimento chillwave. “Sinking nation” si presenta invece come un inno, con un intro fatale che immerge l’ascoltatore in un deserto di ghiaccio: paesaggi settentrionali, alberi appesantiti dalla neve, macchie di civiltà in lontananza, e il sound è talmente rilassante da sfiorare le impercettibili corde dell’autocoscienza.

In tanto freddo non poteva mancare un pizzico di setimentalismo con “She can’t forgive”, un romanticismo che sa di cherosene e Roland SH-201; ed anche questo brano è cantato ed effettato quel tanto che basta per renderlo prezioso. “The dusk” è il pezzo più lungo dell’intero LP, ma soprattutto è quello più vintage, con modulazioni che ricordano uno qualsiasi dei primi lavori di Dave Angel, in un crescendo di clap e snare drums. “Skateboarding at night” è tante cose in una: post-rock in apertura, chillwave nel mezzo, ambient in chiusura. Infine ascoltiamo “Running dog”, una canzone che completa la precedente “Monday is black”, perché anche qui la sezione ritmica risulta affascinante ed impetuosa come la corsa di un cane randagio sull’asfalto screpolato della pista d’atterraggio.

Con un disco tanto semplice quanto artigianale questo duo italiano ha dimostrato che l’elettronica in generale – la techno in particolare – è cosa buona e giusta, che anzi è una musica in grado di suadere e carezzare. “Frozen dancers” è un viaggio da Mantova a Berlino, due città diversissime tra loro, accomunate dall’elettronica artica dei Tempelhof.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
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