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R Recensione

8/10

Anohni

Hopelessness

Antony Hegarty lacera il cuore. Lo distrugge. Ad ogni sinth milioni di pezzi di cuore rimbalzano, come coriandoli su di uno strumento a percussione. Ad ogni nota lo stomaco sussulta e le stesse farfalle si librano in aria.

Sguardo fisso a muro. Si riproduce un'ombra, scura. Pare la copertina dello stesso "Hopelessness".

“Il noioso Antony” spiazzerà tutti in questo progetto e nell'occasione si fa chiamare Anohni e diventa donna.

Sì, donna. L'artista transgender non intende rinnegare la sua parte maschile, Antony. Voleva semplicemente mostrare l'altra componente, femminile per l'appunto. E paradossalmente più potente. Più sicura.

L'influenza dell'amica Bjork si sente e volendo essere onesti tutti un po' si aspettavano un suo zampino. Ma dopo numerose collaborazioni in questa occasione si è limitata ad osservare da dietro le quinte la nascita del disco, dispensando preziosi consigli.

Se in Antony ciò che più brillava era la voce così eterea, senza spazio e senza tempo, in Anohni la voce sembra passare in secondo piano. Brani potenti, grandi impalcature musicali a far da cornice alla voce.

Con "4 Degrees" è partita l'era Anohni e già dalla precedente estate, stesso periodo in cui tutti gli uffici stampa sono stati avvisati di dover parlare al femminile qualora l'artista venisse citata.

Partenza di impatto, suoni sintetici che paiono minacciosi per poi finire in un'immensa apertura di fiati, dove abbiamo un rimando a Volta dell'islandese Bjork.

Un Anohni abbattuta dove lei stessa si dichiara “stufa di essere in lutto per l'umanità”. Come spettatrice di un mondo che corre troppo veloce, forse al contrario, o forse no.

Suoni ancor più sintetici in "Drone Bomb Me", singolo ufficiale che lancia il progetto – con tanto di videoclip e Naomi Campbell al seguito. Altro pezzo spietato. Le parole cantate come fossero novellate, quasi a voler occultare la pesantezza dei vocaboli, pesanti, crudi come sangue: una ragazza, una bimba di soli nove anni inscena un discorso con un drone. Desidera di morire, di annientarsi. Di essere un ammasso di colore rosso che a poco a poco diventerà polvere e si librerà in cielo. Questo sarà l'unico modo per ricongiungersi con la famiglia, annientata dallo stesso drone, contro la loro volontà.

Siamo costantemente osservati, intercettati, seguiti. E viviamo sotto scorta in una scatola da scarpe che viene portata in mano da uomini dai guanti scuri e una pistola alla cintura. Come fossimo protagonisti di un grande occhio, quello del grande fratello, quello televisivo, quello di Orwell, quello cartaceo, quello multimediale. Ma è necessario? Sta portando a qualche risultato? I bambini smettono di essere maltrattati? Le donne sui marciapiedi stanno ancora piangendo?

In "Execution" un ulteriore frecciatina al mondo politico statunitense. Pesa lo stato americano e come se lo volesse forzatamente comparare ai paesi in via di sviluppo – dove la pena di morte esiste realmente – ci si chiede cosa non va, oltreoceano. La stessa pena di morte viene infiocchettata come il grande sogno americano, in via del tutta cinica. Alla mente le campagne politiche portate avanti dallo stato a stelle e strisce. Quanto siamo contemporanei?

"I don't love you anymore" è un episodio a parte. Parla di inadeguatezza e di allontanamento che però potrebbe essere un mero riferimento simbolico.

"Obama". Qui la voce non conta. Un uomo, una donna. La voce è alterata dall'elettronica, perché a parlare è il popolo. Il testo è dettato dalle lacrime, dalla delusione. Mai così tanto polemica, Anohni prima di questa traccia, dove si parla della delusione del mandato presidenziale del leader americano, della tanta speranza, affossata dalla povertà, il nero. Il cielo ferito, piange fango.

Anche in "Violent Men"la voce viene alterata. È metallica come i suoni che fan da sfondo, scandiscono i secondi. E le parole. Il pezzo scivola, ripetitivo. Poi cade. Stretta allo stomaco. Si cade, dicevamo, con all'improvviso un sinth. Si sobbalza e ci si emoziona. Si riaprono gli occhi per pochi secondi. Poi si ripone la testa sul cuscino e si sogna.

"Why Did You Separate Me from the Earth?" è un ritorno al pop. Ed è un rimando al singolo di lancio. Solita elettronica a incorniciare il tutto. Si ritorna alla tematica ambientale. Guarda al passato, alle origini. Lamenta lo stesso lutto che vive quotidianamente ed è scoraggiata dal pensare che dovrà vivere in questo universo, così malandato. Anohni è come in un mondo parallelo. In questo universo parallelo si osserva la terra distruggersi, da dietro uno strato trasparente, noi tutti osserviamo. E rimaniamo inermi.

Nella title track torniamo ad emozionarci, con un pezzo che si spera non arriverà mai alla fine, come sempre senza tempo e senza spazio. Come la sua voce. Antony Hegarty ritorna. E noi potremmo aver ascoltato questa "Hopelnessess" in Homogenic di Bjork.

La voce passa dal cuore, nel cuore. I tessuti muscolari vibrano e formano uno spazio colorato emozionale che stravolge. I sintetizzatori sparano e provocano dolore. La voce è fragile, pare condita dal pianto. Si lascia poi spazio all'anima che avvolge il suo corpo e la solleva.

Ancora una volta disperata, senza speranza. Un monito contro l'umanità, contro noi stessi. Noi stessi a cui viene assoggettata la colpa di aver distrutto il pianeta. Siamo stati tutti colpiti da un virus, un virus dove si insegue il potere. Siamo procacciatori di potenza, la stessa che facciamo passare dalle nostre mani e la sgretoliamo, mani come fossero strumenti per produrre altri beni. Prodotti.

"Crisis"ulteriore picco emozionale. Ballad elettronica, che si destreggia tra sintetizzatori e suoni sincopati. Tornano la sofferenza, i droni, le bombe. In ginocchio ancora una volta si scusa con l'umanità, si scusa per tutto e per tutti. Le mani al cielo, in segno di rassegnazione, una luminosità improvvisa, però attesa. Una consapevolezza meditata. Necessaria.

"Marrow" chiude il tutto e se la prende nuovamente col governo americano.

Hopelessness consta di dieci pezzi e anche quelli che meno parevano convincere completano la tracklist di quello che si preannuncia come uno dei più memorabili album in corsa per questo anno e per la carriera di Hegarty.

Ad ascolto finito si ricuce il cuore. Le esplosioni corporali si arginano. Il silenzio cala. E il vinile pronto ad essere rimesso nel case. È una macchina potente che passata ha lasciato solo un rimbombo.  

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hiperwlt 6,5/10
Dr.Paul 7,5/10
max997 7/10
motek 6/10

C Commenti

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FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 10:54 del 3 giugno 2016 ha scritto:

Lavoro carico di pathos e di possibilità espressive. Sono un filo meno entusiasta sulla scrittura, ma il giudizio rimane molto positivo.

woodjack (ha votato 6 questo disco) alle 23:14 del 5 giugno 2016 ha scritto:

recensione molto bella perchè molto sentita... purtroppo non concordo sul giudizio finale, a malincuore perchè sono stato il primo ad attendere e segnalare l'uscita del disco, su cui avevo grandi aspettative. La carica emozionale intrinseca della voce di Anthony (oggi Anohni) non si discute, ma come diceva Francesco langue la scrittura. Così il lavoro (eccellente) di Daniel Lopatin sui suoni diventa solo una gabbia pesantissima per canzoni che si fatica ad ascoltare fino in fondo. Spontanea la differenza col controverso disco dei Radiohead: loro hanno "spostato" la scrittura su altri aspetti della musica, aprendo la forma canzone e lavorando al di fuori di quella logica, qui invece si paventava una svolta synth-pop-emozionale - quindi fortemente legata al concetto della canzone - sulla carta operazione intrigantissima ma che doveva essere sostenuta almeno da qualche melodia che si potesse ricordare. Rimane un grande lavoro di confezione e il pathos dell'interprete, la strada è giusta ma credo si potrà fare di meglio.

LucaJoker19_ alle 23:27 del 9 giugno 2016 ha scritto:

mi è piaciuto tantissimo . gran bel disco! forse sono piu da 7,5 ma ci devo pensare

antobomba alle 9:55 del primo settembre 2016 ha scritto:

Ottimo disco, magnifica come al solito la voce di Antony, peccato per la coppia centrale Obama-Violent Men (soprattutto la prima delle due) che trovo inascoltabile.

REBBY alle 10:54 del 4 novembre 2016 ha scritto:

Questo nuovo esordio vale quello "maschile" ed esprime una rinascita anche a livello musicale. La sua vena artistica che, a mio parere, si era progressivamente inaridita riprende a pulsare.

woodjack (ha votato 6 questo disco) alle 12:10 del 4 novembre 2016 ha scritto:

addirittura bello come il disco d'esordio... mi sa tanto che dovrò riascoltarlo.

REBBY alle 14:01 del 4 novembre 2016 ha scritto:

La "scoperta" della sua voce (nel primo) non è ovviamente ora replicabile. Per il resto quest'ultimo è più aderente ai suoni contemporanei (anche se non in "anticipo") , mentre l'altro era più "retromaniaco" , ma come valore artistico (lo dico a caldo che è più difficile) siamo lì. Non è il songwriting (in entrambi i casi) comunque (seppur tutt'altro che disprezzabile) il pezzo forte della casa, sono d'accordo con Francesco (anche se un filino più entusiasta eheh).