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R Recensione

7/10

Elisa

Asile s World

Tutti (più o meno) sono dell'idea che Elisa si sia data in pasto alla "commercialità". Proporrei però di non soffermarci su alcuni dei capitoli cantati nel nosto idioma. Quindi, se conoscete solo brani come Ti vorrei sollevare o Gli ostacoli del cuore potete tirare un sospiro di sollievo, perchè qualcosa di buono c'è anche nelle produzioni più recenti; e qui ci si rende conto come (spesso e volentieri) le case discografiche abbiano la meglio sugli artisti.

All'inizio della carriera però, Elisa non era considerara un'artista popolare. Per le scelte personali (e musicali!) apparteneva a quella cerchia di artisti “di nicchia” della scena musicale italiana composta dai vari Subsonica, Consoli, Gazzè...

Dopo un dignitoso esordio con l'album Pipes & Flowers (buon successo di critica e pubblico con oltre 300.000 copie vendute), senza troppi sforzi  ha saputo dimostrare le sue ottime potenzialità vocali e compositrici. Complice una buona produzione e gli ottimi testi (in inglese quasi a nascondere i suoi turbamenti adolescenziali), l'esordio discografico è stato un esordio rock, degno del paragone con la Morisette archiviato poi come uno dei migliori di fine anni '90.

Dopo il boom iniziale Elisa non sembrò curarsi delle “pressioni esterne”. Aveva altri pensieri per la testa: la fine della relazione con il fidanzato Andrea Fontana (attuale componente della sua band) la trascinò in un vorticoso periodo di crisi, consapevole del fatto che questo momento avrebbe influenzato la scrittura dei brani del secondo epilogo discografico della sua carriera.

Il risultato è Asile's World, uscito nel maggio del 2000. Un disco intimo, privato: un libro aperto di cui lei stessa si sente quasi disturbata nel raccontarlo.

E' un disco elettronico che strizza l'occhio a Bjork, idolo della cantante friulana: ci tiene a precisare però, che il suo non è un tentativo di copiare l'artista sopracitata, ma sono gli stessi testi a suggerirle l'uso dell'elettronica.

La produzione è affidata ad un team molto eterogeneo: Howie B (Bjork, U2), Leo Z (Bocelli), Roberto Vernetti (Casinò Royale) e Mauro Malavasi (Pavarotti).

Il cambiamento è messo in evidenza fin dal primo brano, Gift, dedicata a mamma Silva. Il sound è volutamente elettronico, e dietro la voce cristallina di Elisa c'è lo spettro evidente di Bjork. Virtuosismi e synth elettronici conducono in un tunnel buio dove gli spiragli di luce faticano a mostrarsi. C'è un certo senso di claustrofobia con la consapevolezza, però, che il famigerato fulgore sta a pochi metri da noi. E' in Chameleon che viene fuori l'influenza di Bjork. Nella title track poi, sembra divertirsi nel cantare il ritornello che diventa quasi una cantilena fatta di virtuosisimi, parole, sussurri e cori. La stessa giosità si ritrova nel ritornello di Upside Down. In Happiness is home arriva la Elisa che non ti aspetti. La versione remixata dalla stessa sembra essere la più convincente. Parte con il suono monocromatico della cassa che si trascina lungo l'intera strofa. Il ritornello poi, si fa pesante ma piacevole. Facile è immediato, uno di quei pezzi da cantare all'unisono nei live, un brano in cui un remix è d'obbligo.

In A little over zero la Elisa introspettiva. Una ballad in cui il testo scorre volentieri su di un tappetto elettronico. Le sonorità sono quasi nervose, ci si aspetta un improvviso cambio musicale, un esplosione che tarda però ad arrivare. Le tastiere che si sentono nell'intro si arrestano di colpo, lasciando spazio ad un incessante palpitio, un cuore dal battito monocromatico, incolore che aspetta solo di riprendere fiato. Si dovrà aspettare solo il finale dove la cantante sembra essersi finalmente liberata da ansie (“è questo il meglio che posso dare?”) e paure (“la mia fragilità mi ucciderà”). Il suono di una sveglia e quello di una tromba sono elementi di sottofondo che sembrano aver il compito di far svegliare Elisa dall'incubo che la assilla.

Just some order è in pieno sound anni '90. Così come il testo, rielaborato e riarrangiato per l'occasione. 7 times è frutto della collaborazione con Howie B, produttore di quel gioiello di "Homogenic", quarto album di Bjork. Da grande fan di quest'ultima, era naturale per la cantante monfalconese che le loro strade si sarebbero incrociate. Il ritmo è angosciante. Elisa si ritrova all'interno di una stanza vuota le cui pareti cambiano colore a seconda dell'umore. E le pareti stesse scorrono,si restringono quasi a far diventare l'ambiente piccolo e claustrofobico; poi queste si allargano fino a far tirare un sospiro di sollievo. La voce è lo strumento principale, un elemento che ti cattura e ti trascina in un altro emisfero.

Si ritorna in pieno Bjork-style in Creature, così come in Come and Sit: quest'ultima, con un inizio quasi orientaleggiante, ha una struttura musicale complessa e ricercata, con tanto di violini. Una ballad elettronica dalle sonorità rarefatte. In Homogenic non sfigurerebbe affatto. Little eye nasce in una circostanza surreale: si trovava nel backstage di un festival europeo, quando con chitarra in mano chiusa nel suo camerino intenta a scrivere un pezzo, una ragazza dello staff entrò e vedendola assorta nei suoi pensieri disse: “ti lascerò stare nel tuo piccolo mondo”, frase divenuta poi incipit del brano.

Le parole di Tic Tac scorrono sulle note di un pianoforte. Ancora una volta si sofferma sul tempo che passa, le lancette si muovono impetuose e minacciose. Strettamente legato a ciò, il concetto dell'ordinarietà, perchè il tempo che scorre (immancabilmente) diventa prima o poi un'abitudine.

Unico episodio in italiano è Luce (tramonti a Nord-Est) contenuta nella ristampa del disco, uscita in concomitanza con la vittoria al Festival di Sanremo del 2001.

Il disco sembrerebbe essere addirittura pretenzioso. Ci si dovrebbe soffermare però, sull'aspetto ideologico dei brani. Un'opera complessa sì, che nonostante contenga punte talvolta troppo ostiche, lascia trasparire un certo senso di autenticità: paradossalmente sembra essere addirittura immediato, quanto meno nel modo di 'sentire' propri i pezzi della realese. La scelta di affidare la produzione a persone molto diverse tra di loro poi, potrebbe impedire un'adeguata focalizzazione su quella che è la vera natura dell'album. Forse però, si fa fatica a giudicare il disco nella sua interezza: ogni brano è un episodio a sé.

Nel mondo di Asile, Elisa ci si ritrova benissimo. Questo è il suo mondo, la sua casa, il suo Lisert, così come ama definirlo lei. Frutto di una grande crisi interiore, Asile's World profuma di rinascita, simboleggia la pace ritrovata. Il risveglio dopo la morte.

 

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C Commenti

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swansong alle 12:58 del 20 gennaio 2012 ha scritto:

Artista che rispetto e che mi ha sorpreso per la precocità con la quale, da ragazzina, ha raggiunto il (meritato) successo col primo sorprendente album. Ma non mi ha mai preso, la sento impersonale, troppo derivativa e le canzoni tendono ad assomigliarsi tutte...non sò, la lascio ad altri e magari mi ascolto, chessò, una Cristina Donà. Bella e sentita recensione, comunque. Complimenti!

moonwave99 (ha votato 7 questo disco) alle 18:17 del 10 febbraio 2012 ha scritto:

Ho letto con piacere la tua recensione

Elisa è una delle mie cantanti preferite da ogni punto di vista, e fu proprio con Asile's World che la conobbi all'epoca. Dopo l'ottimo novantesco esordio di Pipes & Flowers, pregno di stilemi del decennio d'appartenenza, dici bene quando sottolinei l'influenza islandese sul disco in questione. Peccato che in esso ci fosse già il germe che l'avrebbe condannata ad un giudizio troppo severo da parte della critica "impegnata", la scialba Luce con cui vinse Sanremo e da cui inizio il filone italiano, mantenuto oggettivamente per alzar un po' di quattrini [ce ne vuol di coraggio per cantare con Ligabue e Negramaro, siamo onesti]. Ciò detto Elisa ha sempre scritto dischi molto intensi e validi, che essa stessa ama riproporre in arrangiamenti differenti [bellissimo Lotus, un po' meno Ivy]; AW ha rappresentato un primo tentativo di svolta introspettiva, continuato a tratti in Then Comes the Sun [secondo me l'apice della sua produzione] e rimangiato presto nel rockeggiante Time. Poi vabè la fama in USA, le canzonette sopracitati e tutti a strapparsi i capelli per una ragazza che preferisco ricordare quando annunciava timida Rainbow durante lo showcase di ThenComesTheSun []. Panegirico terminato.

Utente non più registrato alle 14:20 del 22 marzo 2012 ha scritto:

Anche per me Elisa è una delle cantanti italiane preferite; quando ho voglia di ascoltare qualcosa di diverso dal "mio solito", senza rinunciare alla classe e al talento che sicuramente Elisa possiede.

Come e più di altre cantanti, è dotata di ottima vocalità, ma mai fine a se stessa, con cui sa esprimere dolcezza ed intensità. Per me, almeno i primi tre album, sono piccoli gioielli del genere, con alcuni brani molto belli. Poi si può anche cercare "altro".

A me, per es. piacciono molto Park Hotel (suonato con Jerry Marotta, Phil Manzanera e Tony Levin) e Il sole nella pioggia (con Steve Jansen e Richard Barbieri, dei Japan, due trombettisti del calibro di Jon Hassell e Paolo Fresu, Dave Gregory degli Xtc alla chitarra, Jan Maidman della Penguin Cafe Orchestra al basso e soprattutto il divino Peter Hammill) di Alice.