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R Recensione

7,5/10

Fennesz

Bécs

"Bécs" ce lo conferma: Fennesz è il miglior pittore della musica contemporanea.

Ma non si limita a muovere su e giù il pennello sulla tela. E’ anche un personaggio “concettuale”, così etereo, imprendibile ed elegante che quasi fa pensare al Mozart del Calcio, quel Mathias Sindelar che negli anni ’30 (austriaco di origini ebraiche) ha fatto una brutta fine. Gli storici raccontano che Sindelar, soprannominato Carta Velina, si muovesse contemporaneamente in più direzioni, fino a sbilanciare l'avversario di turno.

Dato che anche io voglio sbilanciarmi, dico che, se Sindelar era il Mozart de calcio, Fennesz è il Mozart dell’errore in musica.Perché l'errore non è mai stato così bello, imperioso, vitale come nelle sue numerose opere.

Da oltre un decennio il genio austriaco è impegnato a dimostrarci che crepitii, bordate di suono e soffuse carezze di chitarra possono crearsi un universo proprio, nascosto da qualche parte alla periferia del mondo.

Il musicista austriaco possiede la capacità di creare ambienti sonori saturi e statici (“Static Kings”) che ti disorientano. I suoi schizzi non vanno da nessuna parte, eppure non puoi fare a meno di seguirli: con comodo, però.

"Bécs" si riallaccia alle vaste aperture “visuali” di capolavori come “Endless Summer” (uno fra i momenti cruciali della musica tutta nell’ultimo decennio, e gustatevi la relativa recensione, perché è degna di cotanta opera!) e forse, in modo ancor più limpido, di “Venice”, l’opera romantica del chitarrista austriaco.

In effetti, Christian rifugge le profondità virtuali ma taglienti come un rasoio di “Black Sea”, l'ultimo lavoro, perché riemerge a vedere la luce. E riscopre il piacere di una melodia felice: paradigmatiche in tal senso sono proprio “Static Kings”, che oscilla a mezz’aria, così leggera da trapanarti i timpani, e la splendida “Pallas Athene”, più serena e vicina alla musica per ambienti, forte di una melodia immobile che sfuma nel vuoto.

The Liar” invece è puro concetto: abrasiva e scorbutica, ti tortura con dedizione, aprendo squarci di luce bianca in mezzo al cielo. Paradossalmente, questa musica può farti venire voglia di ballare; ma in modo sconnesso, quasi ti trovassi sugli anelli di saturno o sulla cima di una qualsiasi supernova in ebollizione.

La copertina cubista è un indizio della programmatica volontà di decostruire (ma secondo logica) del genio alpino: “Liminality”, spigolosa e in perenne attesa, con il suo semplice giro di accordi, in tal senso risulta particolarmente efficace. Lo stesso vale per la title-track, che rintocca sinistra e disturbata, quasi indecifrabile, prima di trasformarsi in un ibrido fra My Bloody Valentine, Beach Boys e Boards of Canada (ma potete metterci mille altri nomi: davanti a questi acquarelli impressionisti, tutto è lecito).

Ancora una volta, Fennesz lascia scorrere dietro il reticolo del radicalismo l’amore per la melodia e insospettabili capacità di narrazione: mi tocca citare di nuovo “Liminality”, che a un certo punto si gonfia prepotente, in un climax fragoroso.

"Bécs" forse non cammina sulle nuove come “Endless Summer”, ma rimane un disco necessario e affascinante, che – a dispetto di una formula non troppo diversa dalle precedenti – mette in mostra le intatte capacità ipnotiche del piccolo grande Sindelar della musica elettronica.

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