V Video

R Recensione

6,5/10

La Biblioteca Deserta

Ever Pride, Ever Power, Ever Peace

Sentire accostare l’etichetta di “math rock elettronico” alla giovane formazione pugliese, che un paio d’anni addietro aveva esordito con un pessimo sunto di tutti i vizi ed i cliché del troncone asfittico del post rock tradizionale, provoca all’inizio mezzi sorrisi, smorfie, espressioni di scherno. Poi si arriva alla resa dei conti, e ci si accorge che, con “Fragile”, è effettivamente cambiato qualcosa: in peggio. Un florilegio di effettacci sintetici, chitarre malamente sfrangiate sull’onda d’urto dei 65daysofstatic, una sezione ritmica che spinge e pulsa su di un substrato sobriamente futuristico, come se i 120 Days abbandonassero la stramberia vintage in favore di beat grassi, profondi, taglienti. Elementi che funzionano, se presi singolarmente, ma che vanno in cortocircuito ammonticchiati insieme senza criterio. La disposizione d’animo non è delle migliori: eppure… Eppure, bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare: non si tratta più di parlare del pieno e del vuoto, degli arpeggini ini ini, dei trilli e degli sconquassi che tutto facevano, salvo sconquassare. Il magma si fa più concreto, scuro, denso. Il risultato non entusiasma, ma si percepisce la volontà di invertire la rotta.

Ecco: se c’è qualcosa che in “Ever Pride, Ever Power, Ever Peace” piace, spudoratamente, è il coraggio di prendere a due mani il proprio stile e rivoltarlo, da cima a fondo, come un calzino. Digerito il primo impatto, non dei migliori, si ha allora di fronte un gruppo finalmente nuovo: nuovo nel suono, nuovo nelle idee, nuovo nella loro resa. Il distacco dalla precedente incarnazione non si completa ancora a trecentosessanta gradi, laddove in “Cage” vi è ancora la sovrapposizione saturata delle sei corde che si abbarbicano, l’una sull’altra, in un feroce duello incentrato su uno strapotere di accenti ritmici ahinoi terribilmente incanutito nel bel mezzo della contesa, con un evitabile finale palpitante: quando, tuttavia, il corso recente riacquista la sua possanza fisica, i risultati si fanno ben sentire. “Falter Falter”, sincopata torcida che vola in un crescendo di volumi e percussioni, aggancia per la collottola con un riff sfrontatamente crossover, simulacro noise che esplode in coda. L’arrangiamento di “Adaptive Memory”, di particolare complessità, sfuma su orizzonti balearici (un remix di gente che ne sa sarebbe d’uopo), bei tagli drum’n’bass invero a tratti un po’ tamarri, rimasugli di Explosions In The Sky rivisitati in secchezza post-punk: in “We Were The Future” si gonfiano onde di synth (c’è qualcosa degli ultimi Aucan) che vanno a cozzare contro chitarre acide, sino ad inabissarsi in un notturno, ansante finale techno; “Ever Glory” è una fucilata che ricorda da vicino – per chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo – il micidiale dinamismo urbano degli LNRipley.

Sette canzoni, poco più di mezz’ora. La Biblioteca Deserta ha asciugato, compresso e sterzato: al netto delle ingenuità di primo pelo, non l’avrei mai detto, ne è uscito fuori un gran bel disco.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.