Mogwai
Atomic
Liconicità di certi messaggi travalica langusto perimetro della loro intima essenza, rendendoli universali. Pensate a quel piccone che, con lirruenza di chi vuole cambiare per sempre la storia, demolisce un pezzo del muro di Berlino. Focalizzate Churchill, Roosevelt e Stalin seduti sugli scranni che il potere dei vincitori aveva concesso loro, a Jalta. Richiamate alla memoria i magnetici, spiritati occhi verdi di Sharbat Gula, la ragazza afghana di Steven McCurry. Il passo immediatamente successivo dovrebbe includere Hiroshima, Nagasaki, Bikini, Alamogordo, Novaja Zemlja Storie sparpagliate nello spazio e nel tempo, luoghi ed insediamenti devastati in un batter docchio, esistenze spazzate via dal vento di morte della bomba nucleare, inghiottite da funghi abnormi, bruciate in colonne di fumo alte chilometri, sradicate da onde durto devastanti. È possibile non conoscerne progettazione e funzionamento: limmagine della bomba atomica è, di per sé, puro significato, polarmente orientato.
Similarmente, se è vero che i concetti più intuitivi sono quelli più difficili da definire teoricamente, nessuno nemmeno Simon Reynolds è riuscito a specificare, senza ambiguità né lassismi, cosa sia il post rock e perché dovrebbe essere letichetta che accomuna gruppi altrimenti diversissimi come per citare i maggiormente noti Slint, Explosions In The Sky, Godspeed You! Black Emperor e Mogwai. Eppure, allo sfrigolare della chitarra di Stuart Braithwaite, al roboare del basso di Dominic Aitchison, al tuonare delle pelli di Martin Bulloch, non ci sono dubbi sulla giustezza e sullopportunità di tale incasellamento. I Mogwai suonano post rock perché, in una vulgata che se ne infischia delle sfumature, sono post rock: iconici anchessi, dunque, prima ancora di qualsiasi ragionamento a freddo. È sul filo di questa contrapposizione a duplice filo, intrigante anziché no, che un disco come Atomic, originariamente nato come soundtrack per il documentario di Mark Cousins Storyville: Atomic Living in Dread and Promise (primo capitolo di una serie di speciali denominati BBC Four Goes Nuclear, curati, nel 2015, dal colosso televisivo britannico), si erge simbolicamente a summa della ventennale carriera degli scozzesi.
Quasi per compensare la dipartita del secondo chitarrista John Cummings (ma anche, e soprattutto, sulla cresta delle sempre più tentatrici pulsioni sintetiche che, in dosi via via maggiori da Rock Action in avanti, ne hanno meticciato lo stile), Atomic si riscopre, da subito, come il banchetto elettronico dei Mogwai. Ricorderete, senza fallo, le gelide articolazioni di Remurdered, sullultimo Rave Tapes, lapprodo ideale di una sostenuta tensione allimbastardimento della strumentazione: di quelle conquiste si ammantano il kraut spaziale di SCRAM ricoperto da una futuristica patina ambient il cupo lamento funebre di Pripyat (un doom deprivato delle sei corde), lo Schulze filtrato trip hop di U-235 (con echi e gemiti a incarnare il soul della situazione) e una Bitterness Centrifuge che avanza, ombrosa ed imperturbabile, in una pompa magniloquente, sontuosa, in definitiva irreale. Li troverete ancora, i Mogwai dello yin&yang, dei contrappesi strumentali e degli squarci di feedback: e vi garantisco che, quando viene tolta la sordina alle chitarre in Ether (a sovrastare lessenziale, malinconico pilone melodico del corno di Robert Newth) o si viene formando luragano shoegaze di Tzar, limpatto emozionale si conserva, intatto, quasi come se la magia di certe progressioni non potesse evaporare nella banalizzazione stereotipica che troppi hanno avuto modo di perpetrare.
Tuttavia, il divampante sole in copertina ovvio rimando alle reazioni chimiche che, susseguendosi al suo interno, producono lenergia necessaria alla vita: la rottura degli atomi è pharmakon, in entrambi i sensi suggerisce come una diversa fonte illumini loperato di questi Mogwai. Il post rock fatto di cavalcate in crescendo e languidezze struggenti (quelle individuate dal violino di Luke Sutherland in Are You A Dancer?) può sopravvivere se, e solo se, venga organicamente sviluppata una controparte che, a parità di mezzi, vada a colmare i difetti e le lacune della compagna storica. Limpresa, tentata a più riprese nellultimo decennio, è ora in via di perfezionamento: per ogni passaggio a vuoto (qui Weak Force) cè, qui, un episodio in grado di compensare qualsiasi cedimento (Little Boy).
Toccherà ammettere, non senza sollievo, che i Mogwai devono ancora sbagliare un disco: e non è certo il caso di Atomic.
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