R Recensione

9/10

Fennesz

Endless Summer

Catturare l’errore, la falla del sistema operativo, il disguido eletto a “segno” con cui interagire in fase di composizione: la glitch music si basa su questo. Vigoroso espediente con cui celebrare il collasso dei sistemi (e delle forme), essa eleva l’imperfezione ad arte e riformula il concetto di “evento sonoro” consolidatosi in oltre un secolo di perfezionamenti nelle tecniche di registrazione. In soldoni, tutto ciò che prima veniva scongiurato e, all’occorrenza, eliminato dal processo creativo ora diventa il processo creativo stesso.

Stimolante, non c’è che dire. Eppure Christian Fennesz va oltre: non resta confinato nel gioco intellettuale ma se ne emancipa, ponendo i sofismi del glitch alla base di un’indagine musicale ove l’uomo e i suoi interrogativi restano i focus inderogabili.

Nella visione del chitarrista/laptop preformer, il software è il mezzo, non il fine (il sampler come particella dell’anima, insomma). Il suo è un felice connubio di melodia e rumore, digitale e analogico, guitar box e compressori ormai demodè (vedasi il recupero della famigliola di vecchi microfoni Simens/Telefunken, di cui il V72 resta il progenitore più illustre) ad evocare il perpetuo non appagamento del desiderio. Non passino poi inosservati il lavoro sui diversi livelli fisici e uditivi, il senso di spazialità con cui vengono trattate le fonti sonore e la loro disposizione all’interno del campo percettivo: nelle sue composizioni, queste ricerche portano ad esiti così incredibilmente musicali da lasciare basiti, muti di fronte al miracolo.

Diversamente dai precedenti – e pur magnifici – Hotel Paral.lel (Mego, 1997) e “Plus 47°…” (Touch, 1999), sull’epocale Endless Summer Fennesz sceglie d’ampliare il respiro melodico delle tracce (8 in tutto) e d’infittirne la qualità cinematografica. “Per conto mio, anche se l’ascoltatore magari non se ne rende conto, le mie influenze sono più legate ai Beach Boys e Brian Eno”, confesserà il musicista viennese durante un’intervista, incalzato dal continuo richiamo agli Oval (forse i primi grandi maghi del glitch) come pietra di paragone. Non insorgete, por favor; i riferimenti sono assolutamente pertinenti: sia le “strategie oblique” di Eno che il mood sognante ed apollineo di Brian Wilson (occhio alla cover di “Don’t Talk (Put Your Head On My Shoulder)” sull’EP “Play” del ’98) sono avvertibili fra i risvolti di questo poema di moti ondulatori e melodie rifrante nell’immagine vaporosa del ricordo.

Fin dal titolo, Endless Summer si getta a capofitto in un immaginario tipicamente estivo: il sole a baciar la fronte, le spiagge, i tramonti in riva al mare, gli amici, l’innamoramento. Istantanee di sentimento adolescenziale che in musica si trasfigurano nell’universalità “totalizzante” del linguaggio e, soprattutto, nel compattezza stilistica di materiale che trasuda classicità da ogni poro.

Immaginate il bianco mareggiare di “Through Hollow Lands” (ancora Eno) passato al setaccio e tempestato da bleep e scorie digitali, o i Labradford presi per mano e condotti fuori dal loro tunnel di oscurità e privazioni (magari per respirare – come il giovane Antoine Doinel ne “I Quattrocento Colpi” – l’azzurro dell’oceano per la prima volta), ed avrete soltanto una vaghissima idea del sound concepito dal bardo austriaco.

Sound che la Title Track distilla mirabilmente: due malinconicissimi accordi di chitarra acustica da cui sprizzano centinaia di rifrazioni luminose, poi il tintinnio di un pianoforte a controbilanciare lo sciame di frequenze sintetiche e i tricks come diapositive proiettate sullo schermo delle nostre menti “vergini”. Il risultato? Una nuova forma di glitch-shoegaze, dream-pop dissimulato fra le avanguardie elettroniche. Poesia.

Spesso gli squarci melodici restano confinati a linea-guida, sepolti sotto brandelli di skippings e bugs assortiti, con effetti ancora una volta non dissimili dalle guitar textures degli Slowdive (periodo “Souvlaki”) o dalle crisalidi electro-shoegaze dei Seefeel. Ecco quindi farsi strada nel nostro subconscio il  vortice minimal di “A Year In A Minute”, lo spezzatino ambient-glitch riorganizzato per rapporti di forza (ogni cellula segue la precedente in virtù del suo timbro specifico, come se della melodia fossero isolate le costituenti e con esse ricomposto un “verso libero” di valore assoluto) di “Before I Leave” e “Made In Hong Kong”, l’intima ritmicità – ribadita dal crepitio di tastiera che irrompe in coda ad ogni “serie” – di “Got To Move On”.

Ma è anche nei momenti più (remotamente) pop che splende tutto il genio di Fennesz. Prendete “Caecilia”, dove un “vuoto” di marimba, xilofoni e poltergeist elettroacustici prepara il terreno (siamo circa a 2:06) per una dolcissima giostra immaginaria alla “God Only Knows” (Beach Boys), fine carillon da abbaglio della memoria. Oppure “Shisheido”, che pugnala al cuore con una song ridotta all’osso in cui i suoni – tutti generati dalla chitarra e riplasmati col software – sembrano filtrati attraverso diverse camere d’eco e riverbero: alcuni sporcati e deliberatamente lo-fi, altri preservati in tutta la loro cristallina purezza.

Il culmine di quest’arte di “distorsione della percezione” si trova però negli undici minuti di“Happy Audio”, allorché un loop generatore, pulsante ad anni luce da noi e di cui non avvertiamo che un riflesso ovattato, guida un inarrestabile crescendo di frammenti, simile ad un “rumore armonico” che si gonfia fino ad avvolgere il cosmo e resettare la realtà al grado zero dell’esperienza sensibile. L’unica reazione possibile sono le lacrime. Di gioia, però.

Mi si guarderà con pietà, lo so, ma mi piace pensare che il “senso” dei momenti più delicati ed eterei di Ennio Morricone (ad esempio “C’era una Volta il West” o “Nuovo Cinema Paradiso”, entrambe così sperdute nel passato, nel rimpianto per un epos collettivo a cui siamo stati strappati con la forza) riviva, in un paradosso d’indicibile bellezza, nell’epicità della contemplazione elettronica di Fennesz, in quel modo tutto suo di coniugare gestualità minimale, solennità dello sguardo e desiderio d’innocenza.

Sono infatti lo stupore del fanciullo, il sentire la vita che si appropria di te e, assieme, la nostalgia di tutto questo (ovvero l’innata capacità della musica di donarti il “nuovo” e, al contempo, di comunicartene la “mancanza”) ad essere evocati da questo Mozart del glitch che ripone un briciolo di pop nel suo cuore e lo scarnifica con una delicatezza ancora inesplorata.

Per chi scrive, “Endless Summer” resta il disco più bello ed importante di questo decennio (almeno fino ad ora, poi chissà…). Un’opera da vivere senza restrizioni e a cui abbandonarsi con cieco fervore. Concedetegli ripetuti ascolti: potreste innamorarvene perdutamente. Dovreste, anzi.   

V Voti

Voto degli utenti: 8,6/10 in media su 15 voti.
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Cas 9/10
target 9/10
REBBY 8/10
4AS 9/10

C Commenti

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TheManMachine alle 1:21 del 5 aprile 2008 ha scritto:

Glitch

Splendida recensione, scrittura elegantissima e lieve, eppure densa di contenuti che accrescono la conoscenza di chi legge. Un grazie particolare, Matteo, perché questo disco mi mancava e l'ho conosciuto attraverso questo tuo scritto. Tra i vari riferimenti che proponi, vedo Oval: se l'opera da te recensita c'entra con "94 Diskont", disco straordinario, che ho amato e amo tuttora, dovrò sicuramente approfondire. Ciao!

loson, autore, alle 16:15 del 6 aprile 2008 ha scritto:

RE: Glitch

Guarda, se ti piace "94 Diskont" allora questo l'adorerai.

Non che sia deirvativo, eh, però il suo mood sognante mi pare strettamente imparentato con l'incantato abbandono di "Do While". Il lavoro di Fennesz è però ancor più impressionante per stratificazione sonora e densità di sentimento... Ascoltalo e non te ne pentirai, Uomo Macchina. ;D

Ciao!

DonJunio alle 0:56 del 16 maggio 2008 ha scritto:

non è proprio il genere che mi appassiona,ma la recensione è come tuo solito ottima.

Cas (ha votato 9 questo disco) alle 14:02 del 22 agosto 2008 ha scritto:

ne sono rimasto affascinato...usare dei "rumori" per fare della melodia...veramente geniale!

loson, autore, alle 13:55 del 30 agosto 2008 ha scritto:

RE:

X Cas e Marco: sono contentissimo che vi sia piaciuto, ragazzi! ;D Anch'io, fin dal primo ascolto, restai letteralmente basito dalla magia, dal respiro epico, dalle fini trame "cellulari" di questo discone. Ribadisco: "Endless Summer" si erge monumento dei 2000, non ci sono storie...

P.S. Grazie anche a ManMachine e Don Junio per i complimenti: siete come al solito gentilissimi, guys!

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 21:56 del 29 agosto 2008 ha scritto:

Incredibile...

Matteo, qui hai beccato un centro gigantesco! Non avrei mai pensato che un disco di elettronica mi potesse appassionare in questo modo... ma qui si va oltre, si sfondano i generi, si transvolano i confini dell'ambient, del drone, anche di quel poco glitch che già conoscevo... Title-track, "Caecilia" e "Shisheido" sono sufficienti per avallare in pieno il voto massimo! Grazie mille per la segnalazione!

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 10:44 del primo settembre 2008 ha scritto:

Brillante capolavoro. Punto di non ritorno di un genere intero. Anche io ne vado matto. Bravo Loson per la recensione. Tra l'altro non facile, secondo me.

modulo_c alle 15:36 del 22 marzo 2009 ha scritto:

capolavoro

Uno dei 10 album che mi porterei nell'isola deserta. Ogni volta che lo ascolto mi emoziona.

FrancescoB (ha votato 9 questo disco) alle 15:26 del 4 gennaio 2010 ha scritto:

Azz mi accorgo solo ora di non aver mai commentato questa recensione: spettacolosa, e non è certo una novità trattandosi di Loson. Insomma, degna di un disco già leggendario, fra le cose più intense degli ultimi anni in ogni senso possibile. 9 pieno.

synth_charmer (ha votato 5 questo disco) alle 21:31 del 29 aprile 2010 ha scritto:

ehm..

nessuno me ne voglia, ma questo tipo di approccio lo digerisco poco e male. Accetto (e apprezzo) chi riduce la componente melodica compensando con trame percussive, linee di basso, synth, dub... ma così diventa un ascolto troppo "innaturale", passatemi il termine. Probabilmente è secondo lo stesso principio, che preferisco ad esempio l'AFX di Chosen Lords rispetto ai suoi Ambient Works. Insomma, l'aspetto emozionale è importante nella musica elettronica d'ascolto

Filippo Maradei alle 23:42 del 20 settembre 2010 ha scritto:

17 Ottobre, live al Teatro Palladium di Roma. Yeah!

4AS (ha votato 9 questo disco) alle 12:18 del 19 marzo 2011 ha scritto:

Davvero non facile parlare di un disco così... Bella recensione! "Endless Summer" lo ascolto da molto tempo, praticamente il tempo per capire se quell'assemblaggio di "rumori" potesse stimolarmi anche dal punto di vista emotivo... Fennesz c'è riuscito alla grande.

mendustry (ha votato 8 questo disco) alle 8:32 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Recensione molto bella, soprattutto nella descrizione del glitch. Ma, a mio avviso, c'è qualcuno che ha fatto molto meglio di Fennesz, e mi riferisco ovviamente ad Alva Noto (Carsten Nicolai). Ad esempio credo che "Vrioon", performato con Sakamoto nel 2002, sia superiore a questo pur bellissimo disco, perché oltre alla stratificazione sonora ha una musicalità di indubbia raffinatezza.

loson, autore, alle 12:00 del 11 luglio 2013 ha scritto:

Grazie. Ti dirò che "Vrioon" e "Insen" non mi sono piaciuti più di tanto: la formula è troppo statica per i miei gusti, sembra di ascoltare 1/1 da Music For Airports con qualche beat o interferenza elettronica sullo sfondo... Poi, sì, Alva Noto non è di certo tra i miei preferiti in campo glitch. Secondo me l'unico che, in quel periodo, ha registrato qualcosa di equiparabile per qualità a Endless Summer è stato Jim O'Rourke: la sua incursione nel glitch datata sempre 2001 ("I'm Happy and I'm Singing and a 1, 2, 3, 4") è altra pietra miliare dell'intero genere e non solo.

simone coacci (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:41 del 11 luglio 2013 ha scritto:

L'estate scorsa ho avuto la fortuna di assistere (dal vivo) alla sonorizzazione che ha composto per il film "Berlino - Sinfonia di una grande città": a dir poco apocalittica!