R Recensione

8/10

Fennesz

Venice

Spesso mi diverte associare arte visiva ed arte musicale.

Non che il giochino in sé sia una novità, intendiamoci, ma personalmente credo ancora nella potenza comunicativa delle immagini, ovvero credo ancora che linee e colori possano molto più delle parole, in termini descrittivi ed evocativi, quando si parla di musica.

E così, l’hardcore-punk, con il suo pianto feroce, con la sua smania di “deformare” la canzone pop, mi ricorda l’espressionismo, i capolavori di Munch e di Franz Marc; il free-jazz mi suona come una rilettura, appena meno delirante, della bellezza radicale dei capolavori di Jackson Pollock.

Quel genere o microcosmo contemporaneo che risponde al nome di glitch, invece, come molta musica elettronica “paesaggista” peraltro, gioca con le impressioni e richiama alla mia mente Monet che dipinge la "Cattedrale di Rouen", o magari le fotografie silenziose, “statiche” ed apparentemente eterne di un Luigi Ghirri.

Il glitch è una forma d’arte visionaria, in cui i colori, le timbriche, le sensazioni contano forse più di armonia e melodia; in cui l’effetto è più importante del messaggio diretto ed univoco, ove insomma l’atmosfera conta più dell'esecuzione. È musica lontana dai parametri classici cui siamo abituati, e forse proprio per questo molto affascinante.

Christian Fennesz, chitarrista austriaco che si diverte a manipolare e deformare elettronicamente le proprie invenzioni con le sei corde, è il leader indiscusso di questa scena: autore di lavori estremamente ostici e dall’impatto traumatico come “Hotel Paral.lel” (1997), capace poi di astruse combinazioni fra spunti melodici brillanti e rumorismi vari (il capolavoro “Endless Summer”, 2001), è forse l’artista che più di ogni altro ha saputo tradurre l’errore in una forma d’arte. La sua è musica ove perdersi, ove raggiungere l’incoscienza dell’io, abbandonando per alcuni minuti il mondo in un vero e proprio stato di trance.

Personalmente, ho sempre trovato che “Venice”, terzo lavoro pubblicato nel 2004, fosse un’opera di grandissimo impatto, quasi l’esatta trasposizione di tali capacità travolgenti. Se “Hotel Paral.lel”, infatti, aveva esplorato e forse travalicato i confini della musica, giocando con le potenzialità più radicali e futuriste offerte dalla tecnologia, e se “Endless Summer” aveva saputo donare un entusiasmante colore melodico a questi astrusi esperimenti, “Venice” apre ulteriori e nuove possibilità, mutando parzialmente cifra stilistica. È un’opera che stempera la gioia tinta di malinconia del capolavoro datato 2001, per regalare un disco più introspettivo e decadente, capace davvero di evocare le atmosfere magiche ed irripetibili della città più romantica del mondo. E così, fra le sue tessiture ultraterrene e la profondità “spaziale”, quasi fisica, dei suoi micro-spunti melodici, è possibile intravedere una Venezia autunnale e malinconica, perdersi nel silenzio dei suoi canali, immaginare un tenero incontro fra le gondole.

Si tratta di un disco che lavora con le immagini e per immagini, sia quando aggredisce l’ascoltatore con strepitii e rumori assortiti (“Circassian” o “The Stone of impermanence”), sia quando lo accarezza con gli intensissimi accordi sospesi di “Laguna”. O ancora, quando immerge i nostri poveri, martoriati timpani fra le sonorità ambientali di quella gemma che risponde al nome di “City of Lights”. A stupire è l’incontro/scontro fra la sostanziale impalpabilità delle trame sonore e la fisicità quasi tangibile del “suono” in quanto tale: ogni singolo passaggio di “Venice” è frutto di un articolato lavoro di “bricolage” dell’autore, la cui chitarra diventa la materia sonora da tagliare, ricucire, piegare alle esigenze espressive del momento.

E così ogni ascolto, inevitabilmente, regala dettagli nuovi, tanti piccolissimi eventi sonori sino ad un momento prima difficilmente percepibili, passaggi raffinati. Ogni ascolto si traduce forse in un nuovo ricordo, in una nuova immagine. E allora lasciatevi cullare dalle onde di “Venice”, non ne rimarrete delusi.

V Voti

Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 4 voti.
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loson 8/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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loson (ha votato 8 questo disco) alle 17:54 del 14 dicembre 2009 ha scritto:

Altra gemma assoluta del mio amorino Fennesz, artista sommo fra i sommi. Dici bene, Julian, quando parli di disco "decadente", capace di rievocare il romanticismo crepuscolare e stagnante di Venezia. "Laguna" e "City Of Lights" i capolavori, a mio giudizio. Disco da 7.5, recensione perfetta.

superPOP girl (ha votato 9 questo disco) alle 14:27 del 2 maggio 2010 ha scritto:

Riuscito

si ama questo disco come si ama Venezia e tutto quello che di sublime la riguarda..provate a sedervi alle Zattere, ascoltare Venice e leggere Brodskij: probabilmente per un'ora vi sentirete realizzati (anche se magari va tutto di merda!)