R Recensione

7/10

Tarwater

Spider Smile

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, alle porte del nuovo millennio, le incursioni di misconosciute formazioni tedesche nell’indie e nel post rock sintetico destavano una sbigottita e piacevole sorpresa e contribuivano a gettare le prime basi per l’ormai istituzionale non-genere chiamato indietronica.

Finto l’effetto-sorpresa nomi come Schneider Tm, Notwist e Tarwater sono divenuti una splendida certezza. Del lotto, preso qui a campione rappresentativo di una non-scena alquanto eterogenea, il duo composto da Bernd Jestram e Ronald Lippok (all’apice della forma artistica nel capolavoro del 2000Dwellers on the Threshold) è sicuramente quello più vicino al movimento post rock, vuoi per la militanza di Lippok nei benemeriti To Rococo Rot, vuoi per una vaga affinità sonora con formazioni come Trans Am e Tortoise.

Vaga e relativa, beninteso: il minimo comune denominatore non può che consistere nelle influenze del kraut chepperò, nei Tarwater, convivono con nomi e suggestioni differenti. Ciò che affascina della musica dei due è una sorta di afflato “classico”, nel suo rileggere, con sapienza ed eleganza, le forme primordiali di sposalizio tra rock ed elettronica e l’avanguardia ormai assimilata nelle viscere di una musica onnivora: se l’incipit Shirley Temple pare ripercorrere attraverso il suo modernariato elettronico il cupo incedere velvetiano, pare affacciarsi con insistenza Eno tra le pieghe della gentile cantilena pop World Of Things To Touch e nel synth pop in punta di piedi When Love Was The Law in Los Angeles, e mentre il pop di matrice post punk avvolge A Marriage In Belmont, in Lower Manhattan Pantoum il cantato piacevolmente monocorde di Lippok attraversa un sottofondo che apre partorito da immaginari Air in minore.

Un sapore ambientale pervade anche la bucolica elettronica di Roderick Usher, mentre Arkestra fonde impercettibili glitch col country folk (country-tronica ?), Easy Sermon rilegge, addolcendolo, lo sposalizio tra spokenword brutale e marziali tappeti sintetici di marca Suicide, mentre Sweet Home Under White Clouds procede, mantrica e incubante, su riverberi e oscillazioni dub. Chiude morbida When Tomorrow Comes, con la sua folktronica attraversata da timidi cenni d’irrequietezza.

Avanguardia con gli artigli ormai spuntati che si rigenera sempre meno timidamente in chiave pop, un modo diverso di fondere organico e sintetico, una rilettura di classici “altri” e un approccio che trae il suo calore proprio nell’approccio solo apparentemente algido alla materia: questa la ricetta segreta dei Tarwater.

E anche ora che il segreto non è più tale e la sorpresa per questi suoni è stata in parte smussata dal tempo, resta il piacere di tornare a scaldarsi presso un focolare musicale divenuto ormai, paradossalmente, familiare.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 15:13 del 30 agosto 2011 ha scritto:

sto riascoltando i tarwater in attesa del prossimo disco fra una decina di giorni! qui sembrano non avere molti amici....ma nei primi annni '00 questi andavano forte!!

fabfabfab alle 16:07 del 30 agosto 2011 ha scritto:

Hai ragione Paul, andavano forte eccome, sull'onda dell'indietronica Morr Music, che poi infatti li ha assoldati. Li ho persi di vista ormai, ma Dwellers on the threshold era un bel disco. Li ho visti anche dal vivo: un po' gelidi ma bravi bravi.