V Video

R Recensione

7,5/10

Plan B

Ill Manors

 

Artefice principale della definitiva transizione dell’ormai vasto e popolare retaggio grime e uk garage d’inizio millennio verso un mainstream pop di qualità. Con tratti che ne sublimano l’inconfondibile matrice british ed altri che la trascendono verso nuovi orizzonti. Per chi non lo conoscesse: Ben Drew, in arte Plan B, nasce come cantante r&b di canzoni alla “sweet-boy Justin Timberlake shit”, secondo la sua stessa definizione, ma trova la sua vera strada solo a metà degli anni Zero nell’orbita della storica crew Roll Deep (Wiley, Dizzee Rascal) con varie compilation e un disco hip-hop abbastanza sui generis (Who Needs Actions When You Got Words del 2006), prima di sterzare ancora di 180 gradi, direzione molto vintage, sound intriso di northern soul sebbene rivisitato in uno stile contemporaneo sia nella musica che nelle tematiche (un indie-soul potremmo dire): il concept album The Defamation Of Strickland Banks (2010), un successo a sei zeri in Inghilterra e non solo. Fissata la formula (e raggiunto il grande pubblico), un altro avrebbe giocato sul sicuro, di rimessa, ma non lui. Lui guardava già oltre. Ad un progetto di più ampio respiro, compendio in parallelo del percorso musicale fin qui descritto e del suo personale universo cinematografico, visto che Drew è anche attore (ha partecipato a serie tv come “Adulthood” e film come “Harry Brown” con Michael Caine) e regista.

In Ill Manors c’è tutto questo e non solo: è anche l’album più profondo, complesso e autobiografico della sua giovane carriera. Sorta di trasposizione sonica e narrativa del film omonimo, prodotto da BBC Films e diretto dallo stesso Drew/Plan B, che chi vi scrive non ha ancora avuto modo di vedere ma che i critici hanno descritto come uno spaccato corale a metà fra il crime movie e il dramma sociale, un incrocio fra Shane Meadows (“This Is England”) e Tarantino.

 

Ambientato nel quartiere di Forest Gate, a Londra, dove Drew è nato e cresciuto, l’album così come il film, racconta la storia di otto personaggi che si dibattono nei gironi concentrici e intersecanti dello stesso inferno. Una Londra più simile a quella sull’orlo della guerra civile dell’estate 2011 che alla pax Olimpica dell’estate 2012. Nell’infuriare quotidiano di droga, crack e metamfetamina, pestaggi, prostituzione, sinistre e amletiche ombre di emarginazione che dai padri (ex punk settantasettini ora tossici senza speranza, picchiatori del National Front divenuti gangsta e spacciatori) si allungano sui figli (che mollano la scuola ed entrano a far parte di baby-gang), vendette personali e prospettive pressoché nulle di riscatto o visibilità sociale, a parte finire un giorno magari in prima pagina sul giornale, coi piedi in avanti o i braccialetti ai polsi, “another posterboy for David Cameron’s broken England”. Un affresco degradato che si riflette cupamente nelle liriche di Plan B, cronista socio-darwiniano (“I am the Narrator”), dallo sguardo a un tempo spietato e commosso, mai compiaciuto, corrosivo nella critica sociale, ma poiché una società si vorrebbe composta da uomini e non solo da individui, severo nella condanna morale (moralista, potrebbe insinuare qualcuno) di figure e personaggi che  spesso la musica hip-hop ha circonfuso di un alone romantico ed giustificatorio (“From mice to men, and then to rats/ But only a snake behaves like that/ But the gang don't care for fool shooting gaps/ They're just happy that you fall for the trap”). Volendo fare un paragone con un suo illustre (e recente) predecessore: lo storytelling di Plan B sta agli “angry young men” di fine anni 70/inizio 80, ad Elvis Costello e Billy Bragg, come quello di The Streets stava ai Kinks e alla loro nostalgica e crepuscolare felix britannia. Un’ attitudine punk che è sia una questione personale (il padre di Drew suonava in una punk band chiamata The Warm Jets, intorno al 77, e mollò la famiglia quando lui aveva appena cinque mesi) che una questione musicale per Plan B, in quello che lui stesso definisce un “hip-hop musical per il ventunesimo secolo”. Un ordito insieme potente e raffinato, dove parti strumentali dal taglio alt rock si mescolano ai campionamenti eterogenei e sapientemente incastonati (si sente, nella produzione, la mano di Al Shux, già con Jay Z e Snoop Dog), e il brit-hop cantautorale alla The Streets, si accompagna a sonorità soul, reggae, r&b e a richiami street rap provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico (vedi l’ironica parafrasi di “CREAM” dei  Wu-Tang Clan che apre  “I Am The Narrator”: “Drugs rule everything around me/ Thugs makin' money/ My manor manor's ill yo, ill yo”).

 

Lo spessore narrativo e cinematico è evidente fin dalle prime scene, un “uno-due” micidiale: la title-track e “I’m The Narrator”, abili nel manipolare spezzoni tratti dal film, ritornelli anthemici mutuati dall’hip-hop classico e sample colti vivificati con grande efficacia in un contesto “hardcore”: gli archi taglienti e incalzanti di Shostakovich nella prima e la spirale di piano da Camille Saint-Saens nella seconda. Più o meno la stessa cosa che accade in “Drug Dealer”, col giro di fiati bandistici annodati a loop, la ritmica e il flow oldschool, l’inciso dub/reggae; altro esempio di ricchezza e originalità di scrittura è “Playing Whith Fire”: il cantato black rabbioso anni 70 di Labirinth (altro enfant prodige della scena post grime) che esplode nel ritornello, intervallato da una strofa minimale caratterizzata da un picking acustico, un controcanto femminile appena accennato e il rappin’ malinconico di Plan B che guarda il mondo con gli occhi di un ragazzino (“He's just a kid/ but he feels like the man today/ He joined a gang today”) che riceve la sua terrificante iniziazione alla violenza. Una sensibilità pop ribadita anche da “Deepest Shame”: la doléance r&b del cantato, il giro acustico su beat sincopato, mentre le rime ci raccontano la storia di Michelle, la protagonista femminile, la figura quasi dostoevskjiana di una giovane che fa la vita per ripagare un grosso debito con un capobanda del quartiere (“But there's a millions other girls just like Michelle/ Out in the streets with nothing else to sell/ To these desperate males other than themselves, so/ There's no way back from here on out”). La rabbia e l'amarezza che pervadono l’intero concept si condensano poi nei brani più diretti e aggressivi: “Pity The Plight”, con il “poeta punk”  John Cooper Clarke (grande figura di culto nel Regno Unito, in bilico fra musica e letteratura, al suo attivo collaborazioni con gente del calibro di Fall, Joe Strummer e più recentemente gli Arctic Monkeys) che apre e chiude il pezzo recitando versi in spoken word e in mezzo un giro di piano, gelido, scuro, acuminato, ma soprattutto “Lost My Way”, combat-soul urlato e affannoso con il testo che è una feroce disamina sulla criminalità giovanile e un flow alla Public Enemy e “Great Day For A Murder”, punk-rap che sembra uscito dalla colonna sonora di “Judgement Night” con Londra al posto di L.A. e Forest Gate al posto di South Central. Completano un opera decisamente sopra la media: il soul “esistenziale” intonato dallo stesso Drew in “Live Once”, il post grime di “The Runaway” e il finale aperto e pessimista di “Falling Down”,  sulla suspence del piano che rintocca minaccioso.

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
loson 7/10

C Commenti

Ci sono 5 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Ubik alle 0:46 del 3 ottobre 2012 ha scritto:

Ascolto questo disco da un bel po', un disco clamoroso in quasi tutti i pezzi, disco dall' 8,5 in su e tra i migliori dell'anno, sicuramente! (Per me, s'intende)

rdegioann452 alle 21:37 del 3 ottobre 2012 ha scritto:

ti sono grato per questa bella recensione. mi ritengo molto attivo circa le uscite musicali, per cui trovo quasi assurdo aver scoperto dell'uscita di questo disco con 2 mesi di ritardo. grandissimo primo impatto.

rdegioann452 alle 21:52 del 3 ottobre 2012 ha scritto:

segnalo un altro ottimo nuovo disco: quello di lupe fiasco.

fufycaz alle 16:20 del 21 aprile 2013 ha scritto:

plagio?

simone coacci, autore, alle 17:23 del 21 aprile 2013 ha scritto:

In realtà credo si tratti di un campionamento (piuttosto evidente e corposo). Peter Fox (vero nome: Pierre Baigorry) viene correttamente citato fra gli autori del brano: album)" target="_blank">http://en.wikipedia.org/wiki/Ill_Manors_(album).