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R Recensione

5/10

Agoria

Impermanence

Abituare l'utilizzatore finale a livelli qualitativi costantemente alti, viziarlo dandogli sempre il meglio, è un'arma a doppio taglio. Perché da un lato è vero che, finché dura, non ti verranno risparmiati apprezzamenti ed attestati di stima (sempre che il fruitore riconosca la qualità e riceva ciò che vuole, ovvio). Dall'altro, però, quando per vari motivi passerai a dargli semplicemente "un buon prodotto", la differenza risalterà vistosa, e nonostante tutto l'affetto che potrà legarvi, inizieranno a sorgere perplessità, dubbi, preoccupazioni. E, da cosa nasce cosa, ti ritrovi nei guai nonostante tu continui a metterci il massimo impegno.

Qui a viziarci sono in due. Per prima la Infiné, etichetta francese tanto abile a coprire tutte le espressioni nascenti dell'elettronica d'oltralpe, che solo l'anno scorso ci aveva deliziato con le mosse di Arandel e Francesco Tristano. E poi lo stesso Sébastien Devaud, in arte Agoria, che è sempre riuscito ad esaltarci con una scoppiettante vivacità, in grado di toccare french house, techno e deep senza per questo rifiutare possibilmente un approccio pop. Insomma, sanno entrambi come rispondere alle aspettative, e questo Impermanence era chiamato a darne un'ulteriore prova.

Ma stavolta, invece di fugare ogni dubbio con una proposta piena di stimoli, sorgono spontanee una serie di domande: dove sono finiti quei brani ricchi ed energici come Stereo Love o Dust, su cui Agoria ha costruito una lunga discografia? Dov'è quella fresca vitalità a cui ci eravamo abituati? Come mai questo disco offre quasi esclusivamente house classica? E dire che gli spunti per dare la scossa non mancavano, con i contributi di sua maestà Carl Craig e della voce bjorkiana di Kid A (nome interessante eh?). Ma alla fine sono solo cartucce a salve, con i toni eterei di Kiss My Soul che rimangono solo una parentesi isolata, e l'innocua Speechless, che procede col freno tirato.

E' probabile che Agoria volesse mostrare un volto più raffinato, più adulto, rispetto agli album precedenti. Un'intenzione che poteva premiare, visti i momenti migliori: Grande Torino sa essere delicata e al contempo vigorosa, con gli archi e la cassa che flirtano in una lunga danza di corteggiamento, mentre Heart Beating una ambient ballad degna dei migliori Röyksopp, con Kid A ad impreziosirne gli innesti atmosferici. Perché non andare a fondo allora? Perché buttarsi poi in una imitazione mal riuscita di Robert Owens con Souless Dreamer, o proporre con Panta Rei una versione "salotto" degli Underworld?

Ti capisco, Seb, ti capisco benissimo. Non puoi andare sempre a tavoletta. Un leggero rallentamento è assolutamente fisiologico, e nessuno dovrebbe rimproverarti nulla. Ma purtroppo la concorrenza è spietata, e ci sarà sempre un giovane brillante che al confronto ti farà sembrare solo "uno dei tanti". La vita è davvero dura, ma allora qual'è la soluzione? Forse la cosa migliore in questi casi è giocare sui legami personali, avvicinandosi ancora di più a quelle persone che ti sono affezionate. Sforzarsi di mantenere salde almeno quelle relazioni, dandogli ciò che serve, rimanendo fedeli a quel reciproco scambio bisogni/soddisfazioni che sta alla base di qualsiasi rapporto umano.

Ma non è mai facile. E' come trovarsi in un vicolo cieco, senza via d'uscita. Vien voglia di rinnegare tutto, staccare la spina e ricominciare da capo. Per certi versi è questa la mossa di Impermanence: spostandosi su una dimensione più classica, di fatto si allontana da chi ha sempre apprezzato Agoria per eclettismo, fantasia, senso dell'innovazione, e punta su un canale comunicativo differente, su una nuova categoria di pubblico.

Non è un vero e proprio tradimento. Ma qualcuno proverà ugualmente una particolare sensazione di sconforto.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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Teo 5/10

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