Balam Acab
Wander / Wonder
Il lato più ambientale e soft della witch house sul lungo formato ci mancava, ed era plausibile che fosse proprio Balam Acab ad offrircelo: lui che la parentesi delle streghe l'aveva percorsa senza entrarci troppo dentro, senza abbandonarsi a croci capovolte e noise infernale, mantenento un carattere più schivo, quasi indifferente. Era stato il See Birds EP nel 2010 a svelarlo al grande pubblico, e già lì era chiaro come il ragazzo volesse giocare tutto sulle atmosfere, mettere in scena il mistero giocando di sottrazione, affondare di suggestione scommettendo tutto su impressioni vocali e riverberi dub. L'esatto opposto dei Salem, insomma.
Tagliando tagliando, per l'album di debutto il giovane newyorkese mette da parte anche il suo essere misterioso, e si affaccia su lidi ambient con un'ambizione pop che ricorda i velluti di Jamie e i suoi The xx: (Apart e Motion su tutte, con le sue vocine all'elio e la ritmica aguzza che solletica lo stepping). Anche l'anima dub che aveva ipnotizzato in See Birds ne esce attutita, compensata da un'infatuazione dreamy stilizzata in pieno stile Geotic/Baths (Expect e Now Time sembran prese proprio da Mend). E se aggiungiamo un pizzico di malinconia, finiamo per sentirci quasi glo-nostalgici, in compagnia di una Oh Why che sa tanto di fine di un ciclo.
Togli qua e smussa là, ci ritroviamo così un Balam di gran lunga più delicato, da cuscino soffice e fiammella tremolante riflessa sulle pareti. Inconsistenza eterea e assenza di peso, praticamente la quintessenza dell'ipnagogico. Impalpabile? Può anche darsi, ma non è per forza un difetto. Sicuramente sincero, esente da sovrastrutture e dedito a conquistare l'ascoltatore con forme morbide e sinuose. Perché, se non si fosse ancora capito, l'era funesta della witch è ormai definitivamente chiusa.
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