Jon Hopkins
Immunity
Sono le visioni evocate a far sì che un brano si incarni in noi. Visioni che emergono dal basso per rilasciarsi incontrollate nella consapevolezza; generate da un processo autopoietico che, come sul piano onirico, permette il loro manifestarsi con intensa condensazione simbolica e affettiva.
E questo fenomeno accade dimprovviso, da parte di chi ascolta ancor prima di aver delineato il corso estetico e concettuale dellintera opera, di aver giudicato la produzione o la scelta di certi suoni, delle soluzioni e delle strutture arrangiate. Ancor prima di farsi unidea sullartista.
Che nel caso di questo scritto è Jon Hopkins, producer inglese con all'attivo quattro album d'inediti, due colonne sonore commissionate (una per il recente "How I Live Now" di Kevin MacDonald), e collaborazioni eterogenee (si pensi ai suoi contributi negli arrangiamenti di Viva La Vida; con Brian Eno in Small Craft on a Milk Sea tra gli altri; al progetto King Creosote per "Diamond Mine").
Nei fatti, la sua musica è un'IDM più vissuta che pensata, materia d'analisi più affettiva che tecnica, contenitore di stili e proiezioni astratte del teatro privato di Hopkins.
E allora accade che Abandon Window (dal potere evocativo come solo Brian Eno; emozioni autentiche nelle lunghe dilatazioni, in senso Sigur Ros) ti prenda alla sprovvista nel suo lavoro di riduzione (si ascolti, in questo senso, anche la title track), nelle sue inferenze remote: una soundtrack sull'apparizione di apocalissi private, ormai distanti, riemerse (il piano come poche lacrime, scivola su immagini del passato) per immalinconire piuttosto che per tramortire.
Ancora: Breathe This Air, campo lungo, colpi sordi nellincidere teutonico e remoto, placato da rintocchi perlacei. Brano che conferma quanto la produzione del nostro si adatti meravigliosamente ai remix (e in Immunity il potenziale è davvero alto: ogni brano, fin dal primo ascolto, pare scritto per essere decostruito). Nel caso specifico il feat. con i Purity Ring entra dritto nella classifica dei migliori singoli di questanno.
Lestetica del disco è un electro motorik che si fa groove, a percorrere buona parte dei brani: fatto di comprensioni, ritmiche e tastiere korg su bordi rispettivamente glitch e noise. Un ripetersi perpetuo ma variato (le oscillazioni minimal-rave di Open Eye Signal; i sospiri campionati di Collider, su un magma uptempo à la Andy Stott; la nenia innocente su tappeto flyinglotusiano di Form by Firelight; la techno-melodica lo-fi in scia Aphex Twin di Sun Harmonics) che, nei solchi ambientali, non rinuncia ad ancoraggi melodici e punta dritto verso una compattezza dascolto (i lavori in ambiti pop hanno influito, anche nella coerenza espressiva delle tracce in scaletta) solitamente aliena in dischi del genere.
Con Immunity Jon Hopkins riesce a rendere affettivo (in questo senso senza neutralizzare o razionalizzare l'emozione e le proiezioni), evocativo, un sound altamente incorporeo: per chi scrive, davvero un grande risultato.
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