Mathew Jonson
Agents Of Time
Ecco finalmente l'attesissimo primo album in studio del fenomeno di casa Wagon Repair. Dopo anni di posticipi e ritardi, tra produzioni varie, remix e l'impegnato progetto Cobblestone Jazz, Mathew Jonson trova finalmente il tempo di portare a termine la sua (e solo sua) opera prima. E c'è abbastanza materiale per soddisfare tutti, anche chi non conosce il genietto di origine canadese.
Agents Of Time si presenta come un’istantanea della scena elettronica d'ascolto “classica”. Un lavoro di grande respiro, che sviscera in profondità lo scenario electro-ambient-techno odierno e non, estraendone un’immagine nitida e facilmente fruibile da tutti. Un’impresa ambiziosa che comporta grossi rischi, dal momento che non tenta di compiere passi avanti. In compenso però, Jonson concentra i suoi sforzi nella ricerca della semplicità: tutti i brani sono studiati perchè siano efficaci in maniera immediata, senza inutili elucubrazioni formali e divergenze stilistiche.
Ognuno dei pezzi presenti in Agents Of Time rappresenta la sintesi finale del percorso evolutivo di uno specifico suono, ogni movimento mostra con fierezza il bagaglio consolidato che porta sulle spalle. Dietro Love In The Future c'è tutta l'esperienza downtempo di matrice Global Communication e Night Vision fa tornare in mente i Plaid, ma ci sono anche le textures sonore dei Future Sound Of London in Pirates In The 9th e i tappeti ossessivi di Carl Craig in Marionette. Jonson mostra una grande abilità nello spaziare dentro stili differenti, dalla tech-house di Girls Got Rhythm al bleep'n'bass di Thieves In Digital Land, e copre un ampio spettro che dedica il giusto spazio tanto alle componenti ritmiche (Sunday Disco Romance) quanto a quelle melodiche (When Love Feels Like Crying). La firma in calce al lavoro è la titletrack posta in chiusura, che nel suo avvicinare glitch e 2-step appare come la più innovativa del repertorio.
Il disco di Jonson si candida per diventare uno dei più rappresentativi di un intero universo musicale: Agents Of Time si presenta come un'opera di cristallizzazione (definitiva?) del mondo IDM degli anni '00, riuscendo a toccarne quasi ogni percorso espressivo. La critica mossa da varie parti riguarda l’eccessivo derivatismo, e non si può negare che sia fondata. Ma a quanto pare il vero intento dell'artista in questo caso è stato un altro: la realizzazione di un classico da tramandarsi nel tempo.
Missione compiuta, Mathew. Adesso aspettiamo il futuro.
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