Telefon Tel Aviv
Immolate Yourself
È doveroso iniziare questa recensione riportando la triste notizia che sta facendo il giro di molte riviste e webzine specializzate, della morte di Charles Cooper, metà dei Telefon Tel Aviv, all’età di 31 anni. Drammatico episodio avvenuto il 22 gennaio dell’anno corrente dopo un litigio con la propria compagna. Sembra trattarsi di suicidio, atto che Cooper aveva già tentato in passato, ma le circostanze devono ancora essere chiarite.
Così a Joshua Eustis, l’altro membro del progetto, è toccato l’amaro compito di annullare le date dell’imminente tour mondiale, che li avrebbe portati anche in Italia, gettando nello sconforto i fan di un’importante figura della scena elettronica di questo decennio. Alla luce di questo fatto, il titolo dell’album sembra incarnare un macabro auspicio, coincidenza inquietante.
Ed il rammarico è ancora più grande perché Immolate Yourself rappresenta il miglior lavoro dei Telefon Tel Aviv, che già avevano centrato il bersaglio con Map Of What Is Effortless. Le coordinate date dal duo americano per la realizzazione della loro terza (e ultima) fatica sono prima di tutto le atmosfere estatiche degli M83 ma anche il synth pop/mid-tempo degli Junior Boys.
Già nell’iniziale The Birds infatti si scorgono i soffici e trasognati beat disegnati da Gonzalez e Fromageau nel superbo Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts, mentre Your Mouth irrompe con una cadenza marziale, perfettamente contrappuntata da synth e cori evanescenti, portando un’atmosfera funerea e desolante. M introduce un beat più corposo e marcato in pieno stile darkwave, Helen of Troy è puro synth pop anni ’80 con un refrain a dir poco irresistibile, ma questo slancio solare viene subito frenato dalle dilatazioni ambientali di Mostly Translucent.
I primi istanti di Stay Away From Being Maybe ricordano l’indie-electro pop di Do The Whirlwind degli Architecture in Helsinki, ma l’attitudine si dimostra subito quantomai distante da quella del collettivo australiano, e dopo l’ambient techno di I Made A Tree On The (World) Wold, in cui riecheggiano ancora sonorità palesemente di marca M83, gli ultimi tre pezzi compiono una lenta discesa umorale, fino a raggiungere un impenetrabile stato di sconforto e malinconia con la conclusiva title-track.
Immolate Yourself è un album che si intona perfettamente con la perdita subita, perfetto elogio funebre, meraviglioso modo per dirsi addio.
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