Django Django
Django Django
Quando tra nome della band e titolo dell’album si legge quattro volte la stessa parola, si potrebbe pensare alla banalità. Bene, scordatevi questo concetto. Django Django, degli scozzesi Django Django è tutto fuorché banale.
Un album che mi piace definire electro-folk in quanto in esso gli ingredienti che più comunemente si mescolano sono grancassa, cerchio a sonagli, chitarra ritmica e sintetizzatore. A ciò si aggiunge un cantato quasi sempre in stile Beach Boys, comunque in sé originale e ben calibrato tra il cantato ed i suoi cori e controcori.
Galeotto fu Default, il primo singolo dell’album. Lanciato ad inizio 2011 con un video originalissimo e ottimamente cucito addosso al brano, Default si ama da subito e rapisce l'ascoltatore conducendolo inconsapevolmente in un vortice di spensieratezza e sana follia nel quale rimane cristallizzato per tutta la durata della traccia. Grancassa, sonagli, ed una chitarra elettrica, nuda e cruda, che scandisce ed insegue la melodia del cantato in falsetto, ottimamente artefatto. Non c’è essere umano sul pianeta Terra e in gran parte dell’Universo che non oscillerebbe ininterrottamente la testa, in sintonia con il battito del piede ritmico, nell’assecondarne il fremito che sa sprigionare. Un capolavoro, e non credo di esagerare.
Ma Django Django non è solo Default, il quale già da solo basterebbe a far guadagnare una piena sufficienza a questo disco d’esordio dei nostri amici d’oltremanica. L’intro (“Introduction”), da brividi, sembra una colonna sonora perfetta per un immaginario sequel di Arancia Meccanica, in una improbabile versione western. Lo stesso intro lancia e si fonde con la successiva Hail bop, una splendida techno ballad, molto Beach Boys nelle melodie e nel cantato. Dà l’impressione di essere la sigla iniziale di questo album gioiello iniziando ad iniettare nell’ascoltatore quell’assuefazione alle sonorità dell’album che rendono pressoché impossibile una interruzione dell’ascolto totale, in sequenza, dello stesso.
Dopo Default, il capolavoro di cui sopra, i nostri amici proseguono sfoderando brani uno più sfizioso dell’altro, con un uso di strumenti, tempi, voci e malizia propri di chi fa musica da tempo e nel modo migliore possibile. E non è un caso se ci son voluti ben tre anni per partorire l’album.
Waverorms è il brano dove l’uso delle sonorità synth è più accentuato, sempre però con sapienza ed abilità, in un crescendo che conduce ai nostri consueti cori "surfing safari"! Hand of man è la sostanza stupefacente dell’album. Coro nostalgico, sfumato, su un tappeto di chitarra acustica arpeggiata e ritmo basic techno. Una ventata di calma purificante, dannata e sognante, che asciuga il sudore dei balli precedenti.
Segnaliamo ancora Wor (quasi un remake di Misirlou nella versione di Dick Dale per Pulp Fiction), nella quale la voglia di ballare di Default ritorna a fare capolino, questa volta a cavallo di furiosi puledri al galoppo nella terra rossa, e Storm, semplicemente deliziosa. Gaudente il twist con inserti mediorientali di Life’s beach, originale la dark-folk-etno-wave di Skies over Cairo e dignitosa l’ultima “techo-Beach Boys” Silver Rays.
Django Django è uno degli esordi più belli e riusciti che mi capita di ascoltare da tempo. Un album pieno, fiero, sempre onesto e sicuramente mai sottotono. Trascinante e sognante, sa essere sempre originale, regalando spesso quelle pulsioni danzanti di chi sa pescare con malizia e lungimiranza nella tradizione popolare. Un mix di tradizione ed innovazione che mi ha totalmente e definitivamente rapito. Piccoli imprescindibili crescono.
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