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R Recensione

6/10

Gotye

Making Mirrors

C'è un po' di Beck. I virtuosismi di Thom Yorke. Qualche suono rimanda anche a Sting e i suoi Police. Gotye, al secolo Wouter Wally De Backer, viene collocato tra gli artisti indie. In realtà la sua musica spazia tra svariati generi mostrando una più che evidente versatilità nel comporre e nello scrivere. C'è sempre più la tendenza a fare musica guardando al passato: sono evidenti le conseguenze dovute al rilancio della musica black e soul, con un occhio di riguardo agli anni '60 (Lana Del Ray, Amy Winehouse). Potremmo dunque definire Gotye come un musicista che si rifà al passato, ma con grande importanza al futuro.

Il disco Making Mirrors racchiude – se non la genialità – sicuramente l'elevata creatività che oggi sembra essere sempre più rara. Ci son diversi spunti positivi nell'album: si passa dal rock al soul, ma c'è anche spazio per un ben confezionato pop e qualche sprazzo di psych-folk. È composto da punte davvero molto buone, per poi scendere in pezzi che hanno proprio l'aria di essere un riempitivo. Alcune delle dodici traccie di Making Mirrors non convincono quasi per nulla, in certi punti sembrano addirittura forzate.

Una delle punte alte del disco è sicuramente il singolo "Somebody That I Used To Know". Pochi strumenti – tra cui un mini xilofono – che anticipano un pezzo minimale ma di impatto. Qui la voce di Gotye si ben amalgama con quella di Kimbra. Sonorità interessanti le troviamo anche in Easy Way Out. Suoni elettronici e l'ingombrante chitarra elettrica che regala al brano atmosfere beatlesiane. "Eyes Wide Open" cita i Coldplay, scegliendo sonorità classiche: bella, ma decisamente anonima confrontandola con gli altri pezzi del disco.

Dai ritmi tribali di "Smoke and Mirrors" alla psichedelica "I Fell Better" che suona irrimediabilmente sixty. La nona traccia "Don't Worry, We'll Be Watching You" ha un sound cupo. La matrice è hip hop. Bella anche la traccia numero dieci: "Giving Me a Change" è forse la più interessante dell'intero disco. La voce è pulita, lineare. È minimale come gli strumenti utilizzati all'interno della canzone. Save Me segue lo stesso filone. Brano pop che non toglie e non aggiunge nulla. Nella conclusiva Bronte si torna a sperimentare e si torna anche alle sonorità cupe. Si entra nel brano in punta di piedi, così come i tasti del pianoforte che incantano.

Making Mirrors non è propriamente pop dunque. Come anticipato all'inizio ci sono alcune punte ostiche ma facilmente ascoltabili. È sicuramente più immediato del precedente Drawing Like Bloods, forse più introspettivo e pensato.

I brani migliori sono quelli più “classici” e che comunque seguono un filone pop meno 'arty'. Quelli in cui il cantante australiano “osa” leggermente di più sembrano essere un po' troppo pretenziosi e mal addizionati: vengono presi in prestito arrangiamenti da svariate parti (dai tamburi tribali, ai synth anni '80), ma i pezzi più convincenti rimangono pur sempre quelli più classici e immediati. In quelli più studiati il rischio è quello di risultare quasi goffo. Rimane pur comunque un più che buono esperimento.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 14 voti.
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Cas 9/10
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C Commenti

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Cas (ha votato 9 questo disco) alle 10:06 del 20 marzo 2012 ha scritto:

Non sono per niente d'accordo, personalmente ho visto in questo Making Mirrors uno dei lavori più completi del 2011. Un'esplorazione vintage che oscilla tra soul anni '70 e art-rock anni '80, ma anche una ricerca di suoni e armonie assurde (come conferma l'attenzione alla scelta tra i più disparati strumenti d'epoca). E poi ci sono pezzi che contengono un mondo di innovazione: State of The Art è un tripudio di idee (da ascoltare e riascoltare per scovare tutte le trovate), Don't Worry We'll be Watching You approfondisce un'anima elettro apparentemente minimale ma densissima e stratificata, così come Giving Me A Chance che da vita ad un cammeo di rara delicatezza (e ricorda a tratti il meglio dei Junior Boys). E l'irresistibile Somebody That I Used to Know (i Police catapultati negli anni zero), l'incalzante Eyes Wide Open, con quella suoi magnetismi che si dissolvono e si richiamano... Insomma, un disco geniale, a parer mio, che consiglio di ascoltare a fondo.

4AS (ha votato 8 questo disco) alle 12:02 del 20 marzo 2012 ha scritto:

Confermo l'analisi di Cas, il disco merita di più, è pieno di colori e di influenze (io ci sento addirittura il phil collins ottantiano in un pezzo accattivante come In your light...). Promosso.

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 0:37 del 21 marzo 2012 ha scritto:

sottoscrivo al 100% il commento di Cas. tipo stran(b)o il De Backer, il quale confeziona un disco che è crocevia tra electro pop, soft-rock e soul: il tutto, marchiato a fuoco da una spiccata, e personalissima, attitudine arty. acrobazie stilistiche mirabili su samples altrui (frances yip, su tutti); influenze gabrieliane (non solo) nelle ritmiche; un cantato soul ‘particolare’ (anche se Sting è sempre dietro l’angolo, come reminiscenza); dinamismi e accelerazioni (power) pop contrapposti a minimalismo (electro)new wave - spettacolo lo stacco centrale di “don’t worry, we’ll be watching you”-, e sound vintage; una serie di magie melodiche, anche col suo fidato lowrey cotillon (in “state of art”, in particolar modo). insomma, un contenitore di creatività debordante, assolutamente eterogeneo stilisticamente. e in ultimo: le ossessioni di “somebody that i used to know”, oltre ad essere una delle migliori cose del 2011 , non confermano che “con i gusti del pubblico non si ragiona”. 8, o qualcosa di più ps: piccolo documentario da guardare

fabfabfab alle 22:45 del 27 marzo 2012 ha scritto:

Io sto letteralmente impazzendo per la cover fatta da questi pazzi! Guardatelo perchè merita davvero...

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 14:05 del 28 aprile 2012 ha scritto:

Disco veramente molto piacevole. Il singolone (che forse paga un tributo un po' troppo grande ai Police) spacca davvero. Molto belle anche l'introspezione di "Giving me a chance", il soul contagioso di "I feel better" e le ricerche sonore di "State of art", ma in realtà tutto scorre che è un piacere. Lavoro di riciclaggio mirabilmente riuscito e successo (stra)meritato.

loservicky (ha votato 9 questo disco) alle 9:53 del 11 agosto 2012 ha scritto:

Per nulla d'accordo con la recensione, questo è un disco assolutamente straordinario, forse il migliore del 2011, decisamente maturo e pieno di idee, la scrittura musicale è decisamente complessa pur rimanendo di semplice fruibilità il tutto accompagnato da arrangiamenti davvero sorprendenti e curati nel minimo dettaglio. Un disco che rimarrà assolutamente, da ascoltare e riascoltare sino a consumarlo come ho fatto io..

loson (ha votato 8 questo disco) alle 20:35 del 11 agosto 2012 ha scritto:

Gotye è una specie di Thomas Dolby (periodo "The Flat Earth") dei nostri tempi, assolutamente grandioso. Come sonorità il disco mi ricorda anche un'altra gemma misconosciuta degli '80s a cui sono particolarmente legato: "Ears Have Walls" dei Blanket Of Secrecy...

jekspacey (ha votato 8 questo disco) alle 11:25 del 9 giugno 2013 ha scritto:

la voce di Gotye ha un non so che di magico, spettacolare, e l'originalità che permea ogni brano è davvero incredibile ! E' così che si deve fare musica !