R Recensione

7/10

Lindstrom

Where You Go I Go Too

Piccoli clichè nordici crescono. L'Islanda, terra di grandi irregolari e di incandescenti gelate ambient. La Svezia, patria di rockettari sudici e di twee poppers impenitenti. E la Norvegia, rifugio di nostalgici del synth pop e di fetistici dell'italo disco.

E in fondo... proprio da qui, in tempi non sospetti, sono partiti i tormentoni leftfield dei Royksopp, e basta prestare un orecchio alle incursioni nell'elettronica del signor Erlend Oye o dare una sbirciatina alle sue produzioni come The Whitest Boy Alive per averne una conferma. E sempre da qui proviene uno dei nomi più importanti del decennio leftfield, quell'Hans-Peter Lindstrom che con l'inseparabile Prins Thomas ha saputo trovare un inedito amalgama tra disco, ambient e techno per cui si è dovuta rimediare una definizione ad hoc: space disco.

I suoi singoli erano stati raccolti, due anni orsono, nel “debutto” It's a Feedelity Affair. Virgolette d'obbligo, proprio perchè trattavasi, appunto, di raccolta di pezzi già editi.

E allora il debutto, quello vero, è proprio questo Where You Go I Go Too. Che è, per molti versi, un'evoluzione naturale e inevitabile della tendenza alla dilatazione, nel tempo e nello spazio, delle composizioni del suddetto. Tre composizioni soltanto per un'ora buona di ascolto, che il nostro cesella e modella tutto da solo.

Il pezzo forte, manco a dirlo, è proprio la strabordante title track. Un'epopea sonora di oltre mezz'ora, troppo ingombrante ed irregolare per il dancefloor: il decollo dell'astronave è lento, paziente, i motori si scaldano senza fretta prima che i pistoni del BPM comincino a scalciare e i reattori sintetici comincino a divampare. E il viaggio ha inizio. E che viaggio.

Instancabili fusioni di istinti tech house e sintesi ritmiche e sonore bagnate di nostalgie italo disco.Autobahn attraversate da mezzi siderali e kosmische musik per metropoli cyberpunk. Progressive house dietrologista e chill out per spiaggianti dall'animo avventuroso. Le illusioni e i giochi di specchi sonori si moltiplicano e confondono al sovrapporsi e susseguirsi degli ascolti. La space disco di Lindstrom si guadagna sul campo il suo nome altisonante, controparte sintetica dei mantra dello space rock per l'ampiezza del respiro, discendente tecnologica delle derive psichedeliche nel suo dipanarsi sconfinato.

Con Grand Ideas la marcia cambia, il suono assume contorni e ritmiche techno: l'andatura si fa marziale, i paesaggi si fanno serrati e taglienti, e attraverso una nebulosa anni '80 si sfiora la galassia James Holden, svuotata degli aspetti mutanti e rivestita di pieghe meccaniche e ripetitive.

Infine il ritorno, le traiettorie morbide e rassicuranti di The long way home, 15 minuti malinconici di melodia in minore “disturbati” da scorie di battura bassa, degli Air con rivestimenti ritmici sottocutanei, o una partitura mancata per una colonna sonora mai scritta.

La discoteca spaziale torna a casa, sana e salva. Ma già pronta per un nuovo viaggio. E la decisione di quando ripartire spetta solo a voi.

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