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R Recensione

7/10

Cat's Eyes

Cat's Eyes

Di solito inizia così. Il temerario, il pioniere di turno raggiunge una certa credibilità sociale e, dal suo nuovo piedistallo dorato, comincia a sviscerare passioni segrete ed intime, che pubblicamente sarebbero poco meno di un tabù. La schiera di aficionados coglie la palla al balzo e rilancia, amplificando a dismisura strambi concetti estetici e incitando al revival indiscriminato. La critica, che notoriamente viene gran poco sollecitata da ipotalami propri, non perde tempo e cristallizza il nuovo trend, giocato sul recupero di un vecchio dapprima volutamente evitato, beffeggiato, degradato. Seguendo questo logoro canovaccio è riemersa, per fare un esempio, la febbre del sabato sera per la produzione cinematografica italiana di serie Z, dissennata perché incapace di distinguere perle e porci, tra poliziotteschi, mafia-movie, erotici o trash allo stato brado: tutta colpa di un Tarantino che si dichiara spudoratamente a una Fenech o a una Guida, e si schiera con decisione dalla parte di Fernando Di Leo (ci mancherebbe altro), Lucio Fulci (solo gli stupidi potrebbero fare il contrario) e Aristide Massaccesi fu D’Amato (ecco il guano…).

Anche la prassi, tuttavia, può incappare in qualche anomalia di percorso. Faris “Rotter” Badwan, più che tarantiniano, dà l’impressione di essere fortemente fascinato dai noir americani, dalla Nouvelle Vague e dai western dove Clint Eastwood, in calzoni e pistola, frega una delle due espressioni a disposizione ad Alessandroni che fischia in sottofondo, guidato dalla bacchetta di Morricone. Il paradiso del vintage, praticamente. Poi c’è il fattore della credibilità e della persuasione: sarà tenebroso e studiato quanto volete, ma il cantante degli Horrors è giovane e fa presa, soprattutto riguardo ai suoi gusti musicali. L’unica sfortuna è che non si chiama(va) John Barry e non ha a sua disposizione Nancy Sinatra. Sfortuna? Abbandoni un caschetto biondo italoamericano e trovi per strada una splendida coetanea, Rachel Zeffira, che, giusto per inciso, è un dotato – e internazionalmente riconosciuto –  mezzosoprano, con il vizietto del polistrumentismo. La generazione MySpace, aldilà di questi casuali anacronismi che s’intersecano amorevolmente tra di loro, esigerebbe la formazione di un gruppo. Gruppo fu: e non something weird orchestra, per dire. Cat’s Eyes. Occhi di gatto. Il cartone animato giapponese di trent’anni fa. Dannata e spensierata gioventù.

Il breve esordio discografico del duo + svariati turnisti – suggellato, peraltro, da una prima importante: mica cantine, centri sociali o teatri, questi si sono esibiti a San Pietro! – è, sostanzialmente, un atto d’amore verso un periodo che non hanno potuto vivere (perché, i stuoli di revivalisti compositi sì?) ma che esercita su di loro un potente influsso. Tanto cinema nelle vene del progetto, dicevamo, e i più maliziosi si potrebbero anche divertire nell’abbinare canzone a ipotetico regista ideale. Per la title-track, beat riverberato di psichedelia, ci starebbe a pennello un thriller surrealista, firmato da un Bava o da un Barilli. “I’m Not Stupid” è un profluvio di cori a cappella e di archi che scendono, delicati, sui sospiri angelici della Zeffira: davvero modernariato d’altri tempi, magari tagliato su misura per il Fellini degli anni ’60. Rumori industriali, bassi d’oltretomba e violini ben poco smussati scaraventano “Sooner Or Later” in pasto alle riletture pasoliniane dell’epica classica, tra micidiali giochi di specchi, mentre “The Best Person I Know”, sottile e delicato lounge a due voci, è il classico sprazzo di serenità nella frenesia jazzistica della trilogia-quasi-quadrilogia degli animali d’argentiana memoria.

L’errore più grossolano che si potrebbe però commettere – e che in molti faranno, questo è poco ma sicuro – è quello di considerare “Cat’s Eyes” come mera propaggine sonora di un disegno più grande, trascurando di fatto la componente musicale e concentrandosi maggiormente sulle sinestesie che essa stessa evoca. Un vero peccato, dacché il livello compositivo è, a tratti, decisamente alto (le sincopi esotiche di “Not A Friend”, omaggio riservato a Piero Umiliani, oppure lo psych-western di “Bandit” e le sue trombe che si specchiano, lucenti, nello stemma della Titanus) e le canzoni fluiscono con continuità, vincenti e spettacolari anche grazie alla durata contenuta. “Over You” è un pezzo di irresistibile bravura nella costruzione melodica, sbarazzino shake posto non a caso in netta contrapposizione con il raccoglimento liturgico di “I Knew It Was Over”, laica e collettiva preghiera gospel rileggibile, all’occorrenza, anche sotto una luce dream pop.

Parlare di trionfo è prematuro. Ma i Cat’s Eyes, con queste potenzialità, hanno un futuro radioso già scritto davanti a loro.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 6 voti.
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loson 7/10

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salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 13:32 del 10 giugno 2011 ha scritto:

Che disco fantastico! Di nuovo, nulla, ma che rimaneggiamento del vecchio... Un ambum scritto, arrangiato e cantato benissimo. Atmosfera e gusto eccelsi! In linea con te, Marco al 100% e con l'ottima recensione. Mi permetto solo di citare anche la bellissima "Face in the Crowd": singolo che spacca, arricchito da un ritornello geniale! ()

REBBY alle 15:53 del 21 giugno 2011 ha scritto:

Di sti tempi Morricone, Barry, Umiliani, ... spuntano come funghi in vari progetti musicali. Qui assistiamo ad un curioso connubio artistico tra due musicisti apparentemente molto diversi, ma in sintonia tra loro. Tre sono i brani che soddisfano pienamente il mio palato: Knew it was over, Over you e Cat's eyes.