King Gizzard & The Lizard Wizard w/ Mild High Club
Sketches Of Brunswick East
Se non sapessi che Piero Piccioni ha scritto una delle sue migliori colonne sonore di sempre per La decima vittima di Elio Petri (1965), mi verrebbe naturale associare alla coloratissima e retrofuturistica scenografia pop art del film roba del genere: inebrianti volute di piano elettrico (cortesia di mr. Herbie Hancock), paradisiache distese di vibrafoni, affascinanti trick chitarristici, rnb (o J&B?) da salottini. Tutto, si capisce, deve rimanere molto leggero, come unamabile conversazione tra conoscenze di vecchia data: e poco importa che la tensione sessuale crepiti nellaria, permeando ogni gesto. Il sottotesto devessere semplicemente evocato in superficie, reso leggibile come traccia sullacqua, non esplicitato e pronto a svanire alloccorrenza.
Canguri e pupe. Il terzo disco in sette mesi dei King Gizzard & The Lizard Wizard scritto a spizzichi e bocconi in sei mesi, registrato in tre settimane non sembra provenire nemmeno dallo stesso gruppo che, poche settimane prima, ha dato alle stampe loperetta space-garage Murder Of The Universe. Colpa di Alex Brettin, alias Mild High Club, talentuoso slackerwriter della genia di Mac DeMarco che, nello scorrere sinuoso di Sketches Of Brunswick East, si fa effettivo ottavo membro della squinternata banda australiana, mettendo mano ad una sterminata pletora di strumenti (solo per dirne alcuni: piano elettrico e acustico, optigan, synth, chitarre e bassi) e co-firmando sei dei tredici brani totali (uno, Rolling Stoned, è interamente suo). Inquadramento critico in due parole: se Paper Mâché Dream Balloon era stato il sardonico contrappeso bucolico alle scariche di Im In Your Mind Fuzz e alle suite-contenitori di Quarters, Sketches Of Brunswick East è il lavoro exotic-lounge (preferiamo non dire library ) che ancora mancava allappello di Stu Mackenzie e compagni, un diorama jazzato rilucente di sfumature sensoriali.
Lascolto è, come al solito, gratificante e piacevolissimo. Pur se concepito come un unicum e, come tale, abbastanza omogeneo, almeno tre o quattro brani si impongono da subito tra le creazioni più riuscite del songbook dei Gizzard: le contratture orientaleggianti che fanno vibrare la rilassatissima bossa di You Can Be Your Silhouette (Duke Ellington ben prima del Miles Davis omaggiato nel titolo dellalbum), i bassi funk che rimpallano le perfette armonie vocali di Dusk To Dawn On Lygon Street, il delirio beefheartiano di A Journey To (S)Hell (succede di tutto, tra backing track in reverse à la Beatles, zoppie in 7/8 e grossolani cutnpaste) e, soprattutto, una The Book che riesce nellimpresa di adattare la scrittura di Umiliani allinterpretazione di Flying Microtonal Banana. Qui e lì ci scappa il singolo retrò-pop che fa vergognare lultimo Toro Y Moi (The Spider And Me), si indugia nel tecnicismo (i bassi di Countdown sembrano suonati da Thundercat) e si fendono nebbie lisergiche di indefinita consistenza (il pifferaio magico di Sketches Of Brunswick East II). Altri passaggi sono, per lappunto, semplici bozzetti: e in qualche caso (il decollare microtonale di D-Day, laccenno di spy story allucinogena in Cranes, Planes, Migraines) sarebbe stato preferibile uno sviluppo più organico.
A voler trovare un difetto, contenutistico prima che stilistico, dei full lengths pubblicati questanno Sketches Of Brunswick East è il meno consistente, il meno longevo, il più volatile. Un attimo cè, lattimo dopo si è trasformato, quello dopo ancora si è volatilizzato: unimprendibile fata morgana musicale. Non è che il sottotesto si farà vivo al quarto giro?
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