A.A. V.V.
Don't Break My Love (Virtual Edition)
Tentare di categorizzare il sound di Jaar, impresa per nulla semplice.
Cè chi lha descritto quale intervento concettuale e ristrutturante (o destrutturante?) dellhouse music; chi ha invece raffrontato la sua proposta alla scena post-dubstep-soul inglese (James Blake, Jamie Woon). Altri, hanno fatto leva sull'analisi del tratto più avanguardistico (le texture ambient), dub-jazz e pianistico del nostro; taluni, sulle liquide e ibride andature (con qualche compromesso) di downtempo metropolitano.
Naturalmente, tutto più o meno vero.
La definizione più calzante di come "suona" Nicolas Jaar, è stata data - guarda un po' - da Nicolas Jaar stesso: super slow techno. Ossia, un suono da (meno di) 100 bpm (o giù di lì), capace di esporsi concettuale e astratto, senza per questo privarsi (anzi!) delle componenti più dancefloor e clubby dell'elettronica.
Sicché, il connubio tra queste due anime ha permesso, anche nei live set, di generare un prodotto creativo come poche cose sentite negli ultimi anni. Introspettivo e cerebrale, Nicolas Jaar versa negli spazi e negli ambienti i suoi fluidi di pitch e ritmiche, dilatandoli e pressandoli in funzione dello sbocciare di sinestesie (stando ad Oliver Sacks molti dei soggetti sinestetici, e Jaar lo è, sono musicisti) latine/africane, sincopi e beats (Villalobos, a detta dello stesso unica sua influenza elettronica in fase formativa; Autechre) da scatenamento rilassato.
La chiama, Nico, blue-wave, anche: nella sostanza è house colta e insieme primitiva; estetica post moderna, artigianale, multietnica. Esoterismo dal respiro universale.
Classe millenovecentonovanta, newyorkese di nascita, e uninfanzia trascorsa (sei anni) a Santiago del Cile. Dna sudamericano, europeo (Francia) e mediorientale (Palestina); poliglotta, iscritto alla facoltà di letteratura comparata presso la Brown University (Rhode Island). La formazione artistica, avvenuta in adolescenza nella grande mela (NY è stata una rivelazione su chi fossi realmente, sulla mia identità; da un intervista a PIG MAG), condizionata (positivamente) dal padre, Alfredo Jaar (artista anchegli: a Berlino ho suonato a un party dopo il suo opening: è stata la prima volta. Ho suonato molta della musica preferita di mio padre. Gli ho dedicato lo show da unintervista a Electronic Beats) e dalla madre, i quali lo hanno introdotto nel mondo della musica africana (Mulatu Astatke) e della classica contemporanea (ad esempio, John Cage).
Una serie già lunghissima (con Wolf + Lamb e Circus Company: tra altri, Marks and Angles, "The Russian Dools", il suo primo lascito "The Student", "Love You Gotta Lose Again") di EP, singoli (l'ultimo, in occasione del thanksgiving, "the ego" feat. Theatre Roosevelt) e remix; la performance di 5 ore al MoMa PS1 di Long Island (From Scratch; il video di Pitchfork sul set multimediale lo vedete qui); il tutto, in sole ventidue primavere. Ancora: un capolavoro già in archivio, Space Is Only Noise, e una label di proprietà, la Clown & Sunset.
Etichetta che vanta, ad oggi, un parco artisti del tutto invidiabile nellarea minimal techno: Martin Gretschmann, aka Console, aka Acid Pauli (mst, 2012), membro dei Notwist, immerso nella vita dei dj set (fino alla chiusura, resident al Bar25) presso Berlino, che in Jaar vede visionarietà e una guida ispirata per i suoi progetti artistici. O Dave Harrington, laltro Darkiside (a breve, il primo disco), Will Epstein e Iam Sims, compagni preziosi nei live set di Nico. Il parigino Valentin Stip (formazione pianistica, iniziato alla produzione via laptop solo di recente; in coppia con Paul Sara nei Pavla & Noura), Vitgnike, Sasha Spielberg (con Jaar nei Just Friend) e il diciannovenne Nikita Quasim.
Dopo la prova collettiva di "Irès" (2010), Jaar ha portato a compimento (marzo) un nuovo lavoro corale della sua etichetta: come suo solito, in maniera non proprio convenzionale.
Dont Break My Love nasce anche come pezzo di design darte minimalista, prisma o meglio cubo dalluminio di ridotte dimensioni, dispositivo per la sola riproduzione di una serie d'inediti Clown & Sunset. Non esistono versioni in vinile o in cd (scelta 'consapevole' del boss), benché da poco sia stata rilasciata quella Virtual Edition (qui recensita), scaricabile dal sito dell'etichetta (o via itunes, tra gli altri).
Che si tratti di chamber-ambient folk punteggiato e claustrofobico (You and The Space Between di Brendon Wolcott & Emil Abrayam), di trip hop (Portishead) in vesti minimal techno (Palomitastep, Acid Pauli), di cover super slow (quella di Leonard Choen, Avalanche, dei Just Friend: qui, la Spielberg, tocca vette gibbonsiane, ivi celestiali), glitch con beats/hand-clapping affossati (Siblings Music di Pavla & Noura), dance esotica e jazzata, vocalizzi mediorientali (nei legni tribali e sincopati, nello scatenamento su synth dal tocco lieve e reiterato, etereo di Never Have I Ever, di Nicolas Jaar e Will Epstein), groove di bassi e incastro deep house e di ritmiche (con un sassofono soul e libero di esprimersi, i contrappunti di piano a riprendere e giocare con la melodia: Ishmael, di Dave Herrington e degli stessi Jaar ed Epstein), o di sample swing verso la frammentazione (Hiathaikm di Stip Valentine), insomma, in ogni singolo istante di "Don't Break My Love" v'è traccia di alchimie pressoché perfette tra musica e colore, dance e riflessione. Congiunzioni brillanti di pulsione e qualia.
Assenti (benché facilmente rintracciabili nell'EP omonimo), in questa virtual edition, due brani cardine per comprendere la portata qualitativa e innovativa di ciò che è contenuto nel prism: "Why Don't You Save Me?" (di ritmiche subacque e spiritualismo, in vortici spacy-policromatici), e, sopratutto, "Don't Break My Love" - con la sua dilatazione ambient, le fratture e i giochi a contrasto di battiti, sospiri-voci e tastiere ora lievissime, ora intensamente groovy.
Caratura da Re Mida dell'elettronica contemporanea, Jaar. E guida splendida per tutto il 'suo' collettivo: anche in questa occasione.
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