Gus Gus
Arabian Horse
Quella dei Gus Gus oggi è una sorta di sintesi tra le loro fasi storiche più appariscenti: negli ultimi 3-4 anni (diciamo da 24/7) il sound ha raggiunto un giusto equilibrio tra il pop-ambient da cuffia del primo periodo, che culmina in Polydistortion, e la glassa dance senza compromessi della triplete T-World, Attention e soprattutto Forever (IL disco da avere), e riesce oggi a coniugare l'eleganza raffinata che li ha sempre caratterizzati al tono muscolare che i più (?) gli chiedono.
Il volto odierno non è portatore di novità, ma anzi appare pressocché identico alle loro ultime espressioni, un sinuoso drappeggio di tessuti melodici vellutati che scorrono lungo uno sfondo tech-house morbido. In questo senso chi non ha mai conosciuto la combriccola islandese potrà ancora esaltarsi di fronte a questo ottavo album, ancor più che il punto di forza sta sempre lì: le impronte vocali di Earth, che si innestano con precisione clinica in ritmiche clubbing sfumate Underworld (Be With Me, Arabian Horse). Manca però quella varietà eclettica che li ha resi famosi, e al suo posto gli spazi si riempiono di reminescenze trance dell'Armin van Buuren più da classifica (Changes Come, Over). Non è per forza un male, ma un passo indietro sì.
Arabian Horse si fa apprezzare, ma lascerà freddino chi si è viziato ai fasti del passato. Più che un disco di transizione, è una tappa di continuità, la naturale prosecutio del cammino Gus Gus. Dopo più di 15 anni e innumerevoli cambi di formazione, sono ancora in piedi. E questa è la vera buona notizia.
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